Dalla Valle del Colca, il tour di due giorni a cui ci siamo aggregati per salire in altitudine da Arequipa il più gradualmente possibile ci permette di approdare direttamente sulle sponde del Lago Titicaca, altra tappa immancabile in un viaggio in Perù.
Ok, lo confesserò subito: gran parte della mia fascinazione per questo luogo veniva dall’aver guardato Saludos Amigos da piccola. Sì, so che riguardarlo con occhi adulti e “moderni” porta non pochi grattacapi, ma se anche solo una micro-fibra del mio essere è stata incuriosita alla scoperta di parte del Sud America da quella visione non può essere considerato un fallimento in toto – e poi diciamolo: anche se infarcito di qualche inesattezza culturale sulla popolazione locale, lo sketch iniziale in cui fondamentalmente lo scherzo è su Paperino che incarna lo stereotipo del tipico turista nordamericano è divertente.
Premessa infantile a parte, sicuramente ciò che il film presenta in parte non esiste più (le immagini stile documentario che intervallano i corti animati della pellicola sono di circa 80 anni fa), e perfino uno dei luoghi che un tempo potevano essere considerati autentici è stato “contaminato” dalla vena turistica. Eppure, volendo fermarsi a grattare un po’ la superficie da quella patina pro-visitatore, da queste parti c’è ancora modo di conoscere e relazionarsi con una popolazione accogliente e generosa.
Noi siamo rimasti a Puno, la città principale sulle sponde del Lago Titicaca e capoluogo dell’intera regione omonima, un totale di tre notti (due giorni pieni, calcolando che il primo giorno siamo arrivati dal tour all’incirca a ora di cena) e abbiamo scelto di trascorrerne una sulle Isole degli Uros. Abbiamo preso questa decisione dopo aver considerato attentamente tutte le alternative e sapendo che, per molti versi, si trattava della “scelta più facile” e che alcuni definirebbero “commerciale”: di seguito vi racconto della nostra esperienza e perché, pur condividendo nel complesso da dove possa venire questa idea, non mi sentirei di mettere etichette così rigide all’una o all’altra opzione.

Ma prima di tutto, ecco cosa rende speciale il Lago Titicaca e cosa offre il principale centro urbano sulla sua sponda peruviana.
Cosa fare a Puno
Sarò brutalmente onesta: di per sé non ho trovato nulla di straordinario e imperdibile nella città in sé, sicuramente per il relativamente poco tempo in cui vi abbiamo soggiornato (di cui il giorno pieno, quello che abbiamo trascorso qui al ritorno dalle Isole degli Uros, di domenica, perciò circondati dalla desolazione più totale). Forse anche per il fatto che provenissimo da città molto più interessanti e ricche sia dal punto di vista culturale che architettonico (Lima e Arequipa), senza contare il giudizio impietoso che posso darne a posteriori dopo aver visitato e amato anche la splendida Cuzco, direi che l’attrattiva principale di Puno rimane la sua posizione strategica: non potrete visitare il Lago Titicaca dal lato peruviano senza considerare una tappa tecnica qui.
A parte questo, l’estensione apparentemente sregolata della città e il suo aspetto da “porto di mare” non depone a favore di un buon giudizio complessivo, sebbene abbia trovato la zona centrale piacevole e in generale ordinata. Noi abbiamo pernottato proprio a due passi da Plaza de Armas, non altrettanto imponente ma senz’altro affascinante come tutte le sue omonime nelle altre città peruviane visitate in questo viaggio. Da qui parte un viale pedonale pieno di negozi e ristoranti, che sarà sicuramente meta di una passeggiata serale rilassante al termine di una giornata di esplorazione altrove; altra tappa che vale la pena considerare è il mercato centrale.
Oltre ciò, a mio vedere ciò che vale la pena fare scegliendo di trascorrere qualche notte in più a Puno è di organizzare escursioni ad altri siti d’interesse storico e culturale in diversi punti del Lago: Sillustani, sito punteggiato dalle imponenti torri funerarie cilindriche (chullpas) di cui alcune alte fino a 12 metri, costruite dall’antica popolazione pre-incaica dei colla che così seppelliva i propri nobili; Pukarà, che è stata per noi una delle soste lungo la strada per Cuzco (e organizzando l’itinerario con le tappe in quest’ordine vale in effetti la pena di visitarla così piuttosto che andare di proposito per poi rientrare a Puno), sede di un interessante sito archeologico in cui sono ancora visibili terrazzamenti e strutture semi-piramidali e del museo litico, che raccoglie testimonianze sulla vita delle antiche popolazioni di questa zona nonché qualche artefatto che ci racconta le tradizioni ancora oggi vive (non ultima quella dei toritos, i piccoli tori in ceramica esposti generalmente sui tetti delle case come simboli di buon augurio e che trovano la propria origine proprio nell’arte ceramica di Pukarà).
Un’esperienza senz’altro immancabile, però, rimane quella alle isole sul Lago Titicaca, che siano quelle naturali o le artificiali (o entrambe!).
Il Lago Titicaca in cifre
Ciò che rende il Lago Titicaca un luogo speciale è sicuramente, in primis, la sua posizione: il fatto di essere, con i suoi oltre 3.800 metri sul livello del mare, il lago navigabile più elevato del mondo. Il lago ha una superficie totale di quasi 8.400 chilometri quadrati, esteso a cavallo tra Perù e Bolivia, il che lo inserisce tra i venti laghi più grandi al mondo.
Quello su cui si affaccia la città di Puno è in realtà un bacino minore, collegato al cosiddetto Lago Mayor da uno stretto al di là di cui sorgono due delle principali isole naturali della sponda peruviana (Amantani e Taquile) e dove si riscontra il punto più profondo del lago (circa 280 metri); andando verso la Bolivia si incontra invece il più piccolo Stretto di Tiquina, che separa il bacino principale dal cosiddetto Lago Menor.
Il Lago Titicaca presenta attualmente poche specie ittiche, di cui due importate a metà del secolo scorso (la trota canadese e il pesce re argentino) e solo tre di quelle autoctone sopravvissute a tale inserimento.
La maggior parte degli etimologi concordano che il nome del lago derivi dalle due parole quechua titi (felino, nello specifico puma) e kaka (roccia), per via della presunta forma che richiamerebbe quella di un puma che caccia.

Storia e vita quotidiana della comunità Uros
Gli Uros abitano il Lago Titicaca ormai da diverse centinaia di anni: si tratta infatti di un popolo antichissimo che si ritiene sia migrato dalle zone amazzoniche verso le sponde del lago, per poi trasferirsi sulle sue acque per sfuggire alle bellicose tribù limitrofe.
Avendo con il tempo stabilito una routine, per quanto difficoltosa agli occhi delle “popolazioni della terraferma”, anche in epoca moderna gli Uros hanno mantenuto le proprie tradizioni e la propria quotidianità ancorata (è proprio il caso di usare questo termine) alle loro isole galleggianti. La caratteristica di questa comunità, infatti, è proprio quella di abitare delle isole artificiali interamente costruite con materiali reperibili nel lago (principalmente la totora, una pianta lacustre alla vista simile a morbide canne di bambù, e le sue radici).
La costruzione di un’isla flotante comincia proprio dalle radici di totora, che nella stagione secca emergono in superficie dal fondo del lago e possono essere prelevate dalla popolazione locale e “legate insieme” a banchi, così da creare un primo strato che funge da “fondamenta” dell’isola. Su questo primo strato vengono poi adagiate le canne di totora in abbondanza, fino a creare uno spessore di almeno tre metri, al di sopra di cui vengono quindi costruiti gli edifici veri e propri (anche quelli principalmente composti di totora, a eccezione dei lodge eretti per far alloggiare i visitatori che vengono costruiti con materiali più resistenti), in genere leggermente rialzati stile palafitta per creare un minimo di isolamento dall’immancabile umidità.
La totora è una parte così fondamentale della vita degli Uros che viene usata anche come cibo: l’estremità più profonda estratta dal fondo del lago viene infatti sbucciata come una banana e mangiata come “snack” (a me ha ricordato vagamente una sorta di sedano, ma dalla consistenza un po’ più morbida e quasi insapore).


Trattandosi però pur sempre di una pianta tendente a deteriorarsi col tempo (e con il calpestio, ovviamente… camminare su un’isola Uros è una sensazione curiosissima che dimenticherò difficilmente!), la manutenzione delle islas flotantes è continua: nuove canne vanno gettate sulle vecchie a cadenza regolare e un’intera isola ha una vita segnata di non oltre quindici anni circa, prima di venire per forza di cose affondata e sostituita con una nuova su cui trasferire la famiglia.
Su ogni isola vivono generalmente due/tre famiglie imparentate, che possono arrivare anche fino a dieci nelle isole di dimensioni maggiori.
Ci sono almeno una sessantina di isole artificiali in tutto il Lago Titicaca, di cui la maggior parte nel territorio peruviano e solo alcune costruite a partire da circa 15 anni fa sul versante boliviano, a scopo prettamente turistico.
L’organizzazione interna non è molto dissimile da quella di una società costituita a riva: ci sono le scuole, i punti di ritrovo, il campo da calcio ecc. Ma, a parte per i rifornimenti di carburante per le barche a motore, per la merce non direttamente reperibile dal lago e per partecipare al mercato con la propria cacciagione e il pescato, la comunità Uros è quasi del tutto autonoma e indipendente rispetto alla terraferma.
Anche per quanto riguarda la medicina (è una delle domande che mi sono sentita di fare a Cesàr, proprietario dell’isola Samaraña Uta su cui sorge il lodge che ci ha ospitati per la notte) c’è un dottore che viene a cadenza piuttosto regolare dalla città e ovviamente è lì che la popolazione deve recarsi in caso di problematiche più gravi, ma per i più comuni malanni di stagione e fastidi analoghi la comunità resta ancora perlopiù ancorata a rimedi naturali, così come una spiritualità più legata alle antiche tradizioni rimane predominante nonostante l’evangelizzazione operata a partire dall’epoca coloniale (mi ha sorpreso scoprire che il ramo cristiano che ha maggiormente attecchito qui è quello della Chiesa avventista, non cattolica).
Nell’arco dei secoli gli Uros hanno totalmente perso la propria lingua originale, col tempo soppiantata dall’aymara, che è oggi quella generalmente parlata in famiglia; lo spagnolo viene invece perlopiù studiato a scuola e ho infatti notato come non risulti parlato in maniera altrettanto fluente da molti.
Le isole galleggianti degli Uros: la scelta più turistica?
Come detto, negli ultimi anni l’esperienza delle isole galleggianti si è evoluta maggiormente in funzione del turismo straniero, addirittura spingendo alla costruzione di nuove isole artificiali sul territorio boliviano del Lago Titicaca.
Sebbene sia indubbio che anche la comunità che abita il versante peruviano del Lago sia oggi fortemente votata al turismo, questa mantiene però ancora alcune delle proprie pratiche tradizionali (l’artigianato e la tessitura per le donne, caccia dei volatili lacustri e pesca per gli uomini).
La visita alle isole passerà necessariamente per il mercatino dei prodotti artigianali e, sebbene noi non ci siamo sentiti particolarmente pressati all’acquisto, sono presenti tutta una serie di servizi chiaramente pensati per i turisti che potrebbero far storcere il naso ad alcuni (il giro sulle colorate barche con le teste di puma o l’invito, da noi cordialmente rifiutato semplicemente perché non ne vedevamo il senso, a provare alcuni vestiti tradizionali per una foto di rito).
Tuttavia, trovo che se si riesca a guardare al di là di questa patina più spiccatamente “commerciale”, anche optare per la visita alle Isole degli Uros anziché Amantani o Taquile possa rivelarsi un’esperienza arricchente. Soprattutto posto che anche queste ultime si stanno ormai muovendo in direzione di una maggiore attenzione al turista, purtroppo analogamente a molti altri luoghi nel mondo che, da un contesto tendenzialmente “povero”, hanno conosciuto l’avvento del turismo di massa troppo in fretta e si sono adattati puntando sullo sfruttamento della cultura locale e sullo “spennare” il visitatore: ho sentito che affidarsi a un’agenzia locale meno seria per organizzare il proprio soggiorno su una delle isole naturali del Lago Titicaca si può rivelare un’esperienza tutt’altro che piacevole e autentica.
La differenza principale tra un pernottamento sulle isole di Amantani o Taquile rispetto alle isole galleggianti degli Uros sta nel tipo di confort che si va a trovare: nelle prime si pernotta letteralmente nelle case degli abitanti locali, quindi c’è un contatto più stretto, ma tra le altre cose mancano elettricità e acqua calda; nelle ultime si è invece fatto senz’altro un maggiore sforzo nel creare un ambiente che, sebbene inserito in un contesto caratteristico, mantenga qualche comodità di base per il visitatore (i lodge sulle isole artificiali hanno la luce grazie ai pannelli solari e l’acqua corrente, portata anche a temperature discrete grazie ai boiler istallati da molti).
C’è chi potrebbe dire che questi piccoli accorgimenti vadano a detrarre dall’esperienza “local”, io sono d’accordo solo in parte: noi siamo stati ospiti di una famiglia deliziosa, è vero che avevamo un nostro spazio privato (il che può essere un bene per chi ama la propria privacy, meno per chi ama una maggiore interazione) e non abbiamo condiviso i pasti con loro (questo per esempio mi è dispiaciuto, ma abbiamo comunque goduto di tre pasti a dir poco sontuosi nonostante la semplicità: la qualità delle materie prime ha fatto la differenza in pietanze di per sé non molto elaborate ma gustosissime), ma ho comunque avuto la sensazione di aver conosciuto persone genuine e di aver imparato molto sulla loro quotidianità.
Se si può contestare il fatto che magari raccontino la stessa favola tutti i giorni a persone diverse, in quanto accompagnatrice turistica posso dire che lo faccio spesso anch’io con i turisti che guido in giro per l’Italia, ma ciò non mi rende meno sincera nel raccontare il mio Paese e la mia cultura. E poi, se anche si possa discutere sulla possibile malizia degli adulti, di certo non si può dire lo stesso dei bambini, le persone più spontanee con cui si possa interagire e che con il loro entusiasmo contagioso sono stati la più grande gioia del soggiorno.

In sostanza, quindi, direi semplicemente che sono due esperienze estremamente diverse, ciascuna adatta a un target di visitatore diverso, ma non bollerei automaticamente quella alle Isole degli Uros come un’esperienza meno reale e perciò “meno da veri viaggiatori” solo perché meno spartana: sì, per loro stessa ammissione gli Uros si sono negli anni votati maggiormente al settore turistico, a loro modo, ma in parte la motivazione è stata dettata dal fatto che l’arrivo del turismo ha permesso loro di avere entrate collaterali che consentissero di non vivere di sola caccia e pesca, rischiando a lungo andare di sfruttare in maniera estrema le risorse del lago. E, perlomeno le persone con cui abbiamo avuto modo di confrontarci noi durante la nostra esperienza nella comunità Uros, si dedicano a questa pratica con dignità e gentilezza, non avventandosi sul visitatore come avvoltoi (che è proprio l’immagine che mi era stata dipinta e che, almeno nella mia esperienza personale, mi sentirei di smontare).
Cosa sapere prima di andare
Tutto ciò premesso, rimangono comunque un paio di raccomandazioni di cui essere consapevoli prima di organizzare un soggiorno sulle Isole degli Uros:
- Sebbene, come detto, ci sia elettricità grazie alla presenza di pannelli solari sui lodge, questa alimenta solo l’illuminazione: almeno nel nostro alloggio (non so se è così dappertutto) non c’erano prese della corrente ed è perciò importante, se si hanno dei dispositivi elettronici che si vogliono sfruttare, assicurarsi di portarli con sé già carichi dalla terraferma. Detto questo, dal momento che i locali hanno i telefonini sempre carichi posso dare per scontato che abbiano i loro generatori energetici, quindi sono certa che in caso di necessità siano felici di assistere per ricaricare i vostri dispositivi;
- Le isole hanno acqua corrente per lavandini e docce, ma non per gli scarichi dei sanitari: è infatti presente una tazza in “stile campeggio”, ovvero con all’interno un sacco nero della spazzatura per i bisogni, affiancata da un secchio contenente della terra e un contenitore con cui rovesciarla nel suddetto sacco nero;

- La maggior parte dei lodge non ha la propria connessione Wi-Fi, per cui se non si è acquistata una sim locale con cui attivare una connessione dati (la comunità sorge a soli 7km circa dalla costa) si rimarrà isolati per un’intera giornata… ammettiamolo, non necessariamente un male: ho trascorso alcune delle ore più rilassanti della nostra intera vacanza sul patio della nostra camera, da cui poi a fine giornata ci siamo potuti godere quello che è entrato di diritto nella lista dei tramonti più belli che abbia mai ammirato;
- Il costo della vostra camera in uno dei lodge degli Uros quasi sicuramente non includerà la tassa di ingresso nell’area della comunità, che sono 8 soles a persona (circa 1€) e viene ritirata nel momento in cui si accede in barca con il proprio host. È quindi bene prepararsi tale importo in contanti prima di partire da Puno.
Avevo onestamente aspettative piuttosto confuse riguardo quella che avrebbe potuto essere la nostra esperienza sul Lago Titicaca, ma devo dire che combattuta tra l’idea di trovarci accalappiati in una tourist trap oppure di vivere un’esperienza disagevole sotto diversi punti di vista ho invece sperimentato un’accoglienza calorosa tra persone di buon cuore, e questo mi ha fatto guardare oltre qualunque preconcetto avessi potuto farmi. Senza contare che il Lago Titicaca si è rivelato un luogo dalla bellezza straordinaria, che lascia senza fiato per ben più dell’altitudine considerevole: caratterizzato da acque di un blu intenso da sembrare quasi un dipinto e un’aria così limpida da consentire una visione nitida anche delle montagne che incorniciano l’orizzonte in lontananza.
Voi avete avuto modo di visitare questo luogo meraviglioso, dal lato peruviano o da quello boliviano? E conoscevate la comunità delle isole galleggianti degli Uros? Quale delle diverse esperienze di soggiorno sul lago vi incuriosirebbe di più?
Attendo di leggere i vostri pareri qui sotto nei commenti e vi aspetto nelle prossime settimane per giungere insieme alla tappa clou del nostro itinerario: Cuzco e, ovviamente, il mitico sito di Machu Picchu.
Alla prossima!

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