Dopo aver elencato la scorsa settimana alcune cose per me assolutamente imperdibili da fare in Valtellina ed esserci riempiti gli occhi delle bellezze naturali, storiche e architettoniche che questa zona ha da offrire, passiamo ora a soddisfare anche lo stomaco!
Questa valle è celebre tra le altre cose per la coltivazione del grano saraceno, che vi è apparso per la prima volta verso la metà del XVI secolo ed è stato a lungo il principale ingrediente di molte ricette per via della particolare resistenza di questa pianta a temperature fredde.
A farla da padrone sulle tavole valtellinesi sono in generale piatti che derivano dalla tradizione contadina come polenta e piatti a base di formaggi e latticini, verdure e ortaggi, mele e frutti di bosco… senza dimenticare ovviamente un buon vino di produzione locale derivato da uve di varietà Nebbiolo, tipica di gran parte del Nord Italia.
Questi ingredienti locali erano sfruttati al massimo per creare pietanze ricche e sostanziose anche a fronte di risorse limitate (ad esempio durante l’inverno, in cui parti della valle rischiavano di rimanere perlopiù isolate), andando a creare ricette oggi iconiche e che, posso dire per esperienza, possono creare dipendenza! Sono ancora in parte imbarazzata da una delle ultime volte che, a pranzo con un gruppo di viaggiatori americani, ho subito gli sguardi letteralmente disgustati dei miei vicini di posto al TERZO piatto di pizzoccheri fumanti e grondanti di burro fuso che ho divorato con gusto…

Ecco quindi un approfondimento dedicato alle ricette tipiche della Valtellina e dove trovarle.
La Valtellina vanta un gran numero di prodotti tipici locali insigniti dei marchi di eccellenza DOP e IGP come il Casera, un formaggio semigrasso dalle qualità vagamente simili a una fontina che mi è capitato di mangiare perlopiù fresco o con media stagionatura, ma per cui esiste anche la versione stagionata oltre sei mesi. Un altro celebre formaggio DOP valtellinese è il Bitto, di origini antichissime, realizzato in alta quota con latte non pastorizzato e la cui stagionatura può invece protrarsi anche per anni.
Un prodotto che viene poi raramente menzionato senza la successiva indicazione territoriale e apprezzato un po’ in tutta Italia (e non solo) è la bresaola, la cui eccellenza per la produzione valtellinese è stata riconosciuta a livello comunitario con la classificazione di Indicazione Geografica Protetta. I produttori di zona seguono infatti un rigoroso disciplinare codificato per la lavorazione di questo salume di carne di manzo, la cui produzione locale viene fatta risalire almeno al XV secolo: sono ammessi solo i cinque tagli più pregiati del bovino (tra cui la punta d’anca), la salatura viene a volte affiancata da un’insaporitura a base di vino rosso, spezie e altri aromi naturali, segue poi una stagionatura tra le quattro e le otto settimane (a differenza della “brisaola” della vicina Valchiavenna, sempre in provincia di Sondrio, quella valtellinese viene solo essiccata, non anche affumicata). Il risultato è un salume dal bassissimo contenuto di grassi e dal sapore delicato, esaltata in piatti (generalmente antipasti) di cui è assoluta protagonista e non affiancata ad altri sapori forti: è iconica l’accoppiata bresaola, rucola e scaglie di Grana.

Proseguiamo poi con il già menzionato grano saraceno, una pianta erbacea spesso erroneamente associata ai cereali proprio per via del nome ma che, come proprietà, ha in realtà molto più in comune con la pianta di rabarbaro che non con frumento o mais.
L’etimologia dell’espressione italiana ha in effetti origini curiose: questa pianta è giunta nella zona dell’odierna provincia di Sondrio nel Cinquecento passando dal Mar Nero all’Europa centrale, poi dalla Germania e dalla Svizzera. In queste ultime zone la pianta si è diffusa con il nome di Heidenkorn, letteralmente “grano dei pagani”… e quali pagani, nel senso di “non cristiani”, erano più in vista dei Saraceni nel tardo medioevo? La pianta ha quindi assunto questa denominazione nel passaggio in Italia per via della sua provenienza esotica, che oggi alcuni ricercatori hanno attestato nelle zone asiatiche a ridosso dell’Himalaya ma che allora si associava a territori tra l’Europa orientale e il Medio Oriente, in generale territori abitati da popolazioni di religione musulmana.
Il grano saraceno, che come ho scoperto dall’esposizione allestita all’interno del Mulino Menaglio di San Rocco di Teglio appartiene alla famiglia delle poligonacee e non delle graminacee, è naturalmente privo di glutine, quindi adatto alla dieta celiaca… cosa che ha avuto però sugli abitanti di queste zone, che non hanno consumato regolarmente altro tipo di farina fino almeno agli anni Cinquanta, proprio l’effetto di sviluppare una certa sensibilità al glutine: l’incidenza della celiachia in Valtellina è infatti attualmente tra le più alte d’Italia.

La farina ricavata dalla macinatura del grano saraceno ha il caratteristico colore grigiognolo, che passa poi ai piatti di cui è alla base, che al giorno d’oggi sono però ottenuti da una mescolanza anche con la classica farina di frumento: gli sciatt, palline fatte di una pastella a base di farina di grano saraceno, grappa e birra con un cuore di formaggio Casera filante dopo la frittura; i chisciöi, frittelle realizzate con un impasto simile a quello degli sciatt, sempre con pezzettini di Casera, ma cotti in padella e realizzati con una forma che ricorda più quella dei pancake (anche se la dimensione può variare a seconda della zona: ne ho visti di grandi come una piccola frittata così come del diametro di appena 5 cm); la polenta taragna, che differisce da quella classica proprio per via dell’aggiunta della farina di grano saraceno a quella di mais; e ovviamente gli immancabili pizzoccheri, pasta fresca realizzata nella forma di rettangolini (rigorosamente tutti della stessa dimensione per motivi legati alla cottura) che una volta cotta in pentola e scolata va condita in una pirofila insieme a patate e verza lesse, a cui vengono aggiunti pezzettini di Casera e parmigiano grattugiato e su cui viene infine versata una generosa quantità di burro fuso.
La farina di grano saraceno ricorre anche nelle preparazioni dolciarie: è frequente trovare tra i dessert la torta di grano saraceno ripiena di marmellata ai frutti di bosco, semplice quanto deliziosa.
Altri piatti della tradizione includono i taroz (un piatto a base di purè di patate e fagiolini condito con burro e formaggio Casera) e, per tornare sui dolci, la bisciola (una sorta di panino dolce di piccole dimensioni a base di noci, uvetta e fichi secchi che richiama vagamente l’impasto del panettone, di cui viene considerata la versione locale).
Come anticipato è consigliato accompagnare il vostro pasto a base di specialità valtellinesi con del buon vino locale: un ottimo Rosso di Valtellina DOC oppure il passito secco noto come Sforzato, un DOCG che, come il nome suggerisce, segue un disciplinare di produzione piuttosto lungo e laborioso. Lo Sforzato prevede infatti, come tutti i passiti, una vendemmia tarda per consentire all’uva di passare un periodo di appassimento sui filari; segue poi un invecchiamento di almeno venti mesi, di cui almeno dodici in botti di legno; è richiesto inoltre che le uve Nebbiolo, rigorosamente coltivate nel territorio di meno di venti comuni della provincia di Sondrio, costituiscano almeno il 90% del contenuto.
E a conclusione del pasto?


Non manca la scelta anche per gli amanti dei liquori, che potranno godere del sapore forte e deciso del Braulio, un amaro a base di erbe ideato a Bormio a inizio Ottocento da un farmacista appassionato di botanica, o di quello più delicato del digestivo Taneda (espressione dialettale per Erba Iva), che qualcuno definisce “la camomilla alcolica” in quanto ricavato dall’omonimo fiore, anche noto come Achillea erba-rotta, dalle proprietà sedative e antinfiammatorie.
Gli amanti della montagna non avranno inoltre mancato di assaggiare un buon Bombardino, magari servito caldo con panna (o con caffè, versione conosciuta come Calimero) durante un’escursione in alta quota o una bella sciata in inverno… non molti sanno però che, nonostante la diffusione in gran parte delle zone dell’arco alpino, questo liquore a base di uovo e brandy nasce in realtà proprio in Valtellina, più precisamente nella baita del Mottolino nel comune di Livigno negli anni Settanta. Vale quindi la pena provarlo se ci si trova in zona… e si ha bisogno di una bella spinta extra!
Ovviamente ricette come quella del Braulio sono un segreto tanto quanto quella della Coca Cola, ma qualora abbiate voglia di ricreare i piatti che vi ho elencato prima anche a casa QUI trovate tutte le più tipiche ricette della Valtellina.
Oppure, se vi trovate in zona, vi suggerisco un paio di posti dove assaporarli di prima mano…
Dove mangiare
Come accennato nello scorso articolo, Teglio è la “Patria del Pizzocchero”… quale posto migliore quindi per assaggiare questa specialità valtellinese se non uno dei ristoranti del paese associati all’Accademia del Pizzocchero, che qui ha sede. Personalmente ho mangiato più volte al ristorante dell’Hotel Combolo, a via Roma, ma nel sito dell’Accademia trovate la lista completa per andare sul sicuro: tutti i ristoranti soci garantiscono che la ricetta tradizionale sia rispettata nei minimi dettagli!
Spostandosi a Tirano posso suggerire un salto alla Vineria, in via XX settembre, non solo per degustare i piatti tipici della tradizione valtellinese ma anche per godere di una selezione di vini virtualmente infinita, in una cornice intima e accogliente accanto a un enorme focolare acceso d’inverno oppure nel cortile esterno nelle serate estive.

Rimanendo sempre nel centro storico di Tirano posso suggerire la piccola trattoria Gagin, proprio nella piazza centrale, per un’atmosfera conviviale, un servizio cordiale… e ottimi piatti tipici (tra cui vale la pena provare lo Tzigoiner, carne cotta e servita avvolta intorno a un bastone). A pochi passi troverete poi il ristorante e wine bar Parravicini, nella piazzetta omonima: uno dei locali storici del paese, regala un’ambiente suggestivo con le sue pareti in pietra e si sviluppa su due piani, di cui il seminterrato presenta anche una fornitissima cantina dei vini a vista.
In zona Santuario della Madonna di Tirano ho provato invece il ristorante La Botte: ottimi i piatti della tradizione ma anche i secondi di carne.
Poi, non sarà tipicamente valtellinese, ma volete non fare merenda con un bel gelato in un tiepido pomeriggio d’estate? Beh, a Tirano c’è una delle gelaterie storiche della Valtellina, gestita dalla stessa famiglia (che ha un’altra gelateria anche a Lecco, sul Lago di Como) fin dal 1925: Toldo, che offre gelato rigorosamente artigianale (e si sente!) e un’ottima varietà di gusti.
Se vi trovate tra Tirano e Grosio vi suggerisco invece di avventurarvi lungo la strada del Mortirolo: dopo un bel po’ di tornanti vi troverete a godere di una vista mozzafiato dall’Agriturismo Il Castagneto, in località Mazzo di Valtellina, dove si gustano piatti di produzione propria a dir poco deliziosi!
Altra tappa in cui vale la pena fare una sosta lungo la strada è La Brace, situato proprio lungo la SS38 dello Stelvio nel comune di Forcola: un complesso sviluppatosi nell’arco di oltre un secolo e mezzo a partire da una fattoria, ampliata e restaurata per arrivare ora a comprendere un albergo, un bar e un ristorante. Un’esperienza assolutamente imperdibile in questo luogo? Oltre all’osteria e ad altre aree come la vecchia stalla adibita oggi a sala ristorante privata, La Brace offre la possibilità di mangiare all’interno di una botte!

In realtà i posti da consigliare sarebbero decine, visto che non ho ancora trovato un ristorante in Valtellina in cui non si mangi bene, ma mi sono limitata a quelli in cui mi è capitato di tornare più volte con piacere, sia per lavoro con i gruppi che da sola nei miei momenti liberi.
Se avete già visitato queste zone e avete suggerimenti da aggiungere sono ovviamente tutta orecchie per quando avrò finalmente modo di tornarci. Fatemi sapere quali sono le ricette tipiche della Valtellina che vi hanno conquistato di più.
Alla prossima!
Pingback: Weekend in Valtellina: 5 cose da non perdere – All Roads Lead From Home
Pingback: Eggnog, il tradizionale drink del Natale anglosassone – All Roads Lead From Home