Viaggi organizzati VS fai da te… e le possibili vie di mezzo

L’eterna diatriba tra i “veri viaggiatori” e i meri “turisti” (ma davvero si fanno ancora di queste generalizzazioni?).
Tra i supermegaiperattivi e quelli a cui piacciono solo il lusso e le coccole.
Quelli che si immergono a 360° nella cultura del posto che visitano e quelli che “non mettono mai il naso fuori dal villaggio vacanze, che potrebbero essere ovunque nel mondo e neanche lo sanno”.
Quelli che “sei un viaggiatore con la V maiuscola solo se fai zaino in spalla e giri per ostellacci, più sono sgangherati e più Viaggiatore sei” (ho davvero letto un commento sulla falsariga di questo una volta, che sosteneva che un tizio che si era quasi fatto cadere le dita dei piedi dal freddo nella tundra russa era un vero viaggiatore per questo… non per come aveva vissuto il viaggio, come l’aveva preparato, cosa si era portato a casa al rientro ecc. ma unicamente perché aveva patito questo grosso disagio. Caspita!) e quelli che partono con mezza casa in valigia, solo hotel cinque stelle e stanno bene solo se possono mangiare italiano a tutti i pasti, non importa quanto costoso e quanto di qualità mediocre questo sia (anzi, meglio, così poi possono dire che “abbiamo il Paese più bello del mondo, la cucina migliore al mondo, perché viaggiare altrove?”).

Ok, l’avrete capito dalla intro sarcastica: a me le demarcazioni nette e spesso, come in questo caso, perlopiù superficiali non piacciono proprio. Quindi quando leggo discussioni sui social a questo riguardo, o anche che a questo riguardo non sono ma virano su questa tematica perché c’è sempre il Viaggiatore di turno che deve pontificare sul modo di approcciarsi al viaggio di altri, generalmente mi mordo la lingua e passo oltre. Senza contare che, se c’è una cosa che ho imparato su quelli che ritengo davvero viaggiatori con la V maiuscola, è che non li troverete quasi mai a “insegnare” agli altri sui social il modo giusto di approcciarsi a quella che è un’esperienza del tutto personale, di cui sono consapevoli che non esiste una forma giusta o sbagliata ma solo la più adatta al singolo, e si lasciano arricchire dalle proprie esperienze in umiltà, senza sentirsi superiori o in diritto di criticare altri perché per definizione stessa un vero viaggiatore è qualcuno che ha appreso dai suoi viaggi come tenere la mente aperta e rispettare le diversità.
Oggi ho tuttavia deciso di voler affrontare la riflessione più che altro per sfatare un paio di falsi miti che mi capita ancora di leggere nelle varie discussioni online, legati a quello che in molti sembrano definire “esperienza da vero viaggiatore”. Da appassionata viaggiatrice autonoma ma lavorando nel settore viaggi come accompagnatrice turistica (quindi viaggi organizzati di gruppo, programmi generalmente predefiniti) e come travel designer (viaggi organizzati ma con flessibilità), mi sento di poter dare una visione abbastanza completa e obiettiva del campo, anche di quelli che sono spesso preconcetti errati sia del viaggio organizzato che del fai da te, senza demonizzare o esaltare né l’una né l’altra tipologia. Ad esempio è vero che se vai in agenzia viaggi spendi necessariamente più che organizzando in autonomia? Il fai da te è adatto a tutti? Un viaggio organizzato è solo per chi non sa muoversi autonomamente e ti limita rispetto a quello che faresti da solo? Risposta breve a queste tre domande: no, no e dipende.
Per gli interessati, vado ad argomentare meglio…

Costi di agenzia: quanto c’è di vero nel sentito dire

Ne ho lette e sentite di ogni da parte di chi non è del mestiere e quindi parla perlopiù per sentito dire. Come anticipato, essendo stata da tutti i possibili lati della barricata, posso confermare che no, le agenzie di viaggio classiche non fanno spendere di più rispetto al fai da te, anzi il più delle volte si finisce a parità di prodotto per pagare anche qualcosina in meno o lo stesso prezzo, con però la differenza di avere un servizio in più: qualcuno che si sobbarca l’eventuale problema che insorge prima o durante il viaggio al posto del malcapitato.
Questo accade perché molti operatori a cui tour operator e agenzie di viaggi si rivolgono per la fornitura dei vari tasselli che compongono un itinerario (hotel, compagnie aeree, organizzatori di escursioni locali ecc.) riservano tariffe particolari agli addetti al settore, che non vengono ovviamente visualizzate sui siti generici o i motori di ricerca online a cui potrebbe affidarsi chi lavora esclusivamente in fai da te. L’agenzia guadagna quindi inserendo un proprio mark-up, che però spesso consiste semplicemente nell’arrotondare il prezzo del fornitore a quello offerto al pubblico, per cui l’utente finale paga comunque quanto avrebbe pagato prenotando in autonomia ma avendo corrisposto una percentuale all’operatore del TO o dell’ADV che prenota per suo conto (e ci mancherebbe, che devono lavorare gratis?).
“Ma non è vero! A mio cugino la scorsa estate l’agenzia aveva fatto un preventivo più alto per un programma che lui si è fatto uguale da solo a di meno”. La mia risposta breve a questa critica frequente è sempre la stessa: controllate bene tutte le inclusioni del programma proposto dall’agenzia e tutti i possibili cavilli o costi extra a cui potrebbe essere incorso in seguito vostro cugino e che non aveva calcolato inizialmente. Se i prezzi sono diversi molto probabilmente è perché i programmi sono uguali solo all’apparenza, ma magari il prezzo del volo proposto dall’agenzia è già comprensivo di tasse aeroportuali, bagaglio in stiva oltre che solo a mano ed eventuali altri supplementi che non risultavano dalla prima ricerca effettuata in autonomia (una volta mi è capitato che una cliente contestasse che il prezzo che gli avevo riportato dal nostro portale di agenzia, quindi già con sconto applicato, fosse più alto di quello che riusciva a vedere da sola da Skyscanner, solo per rendersi conto una volta andata avanti con la simulazione di prenotazione che per la data da lei selezionata il costo aumentava fino a superare quello che le avevo preventivato, e quanto apparsole all’inizio era solo un costo base), oppure l’hotel proposto non è della stessa categoria (in tal caso lo si può far notare all’agenzia e suggerire che cambino quel particolare aspetto del viaggio in base alle vostre indicazioni: un preventivo non deve essere per forza accettato o rifiutato in toto, si può “contrattare” su qualche dettaglio per venire incontro ai propri gusti).
Mi è capitato, raramente, che un certo servizio avesse un costo inferiore se prenotato in autonomia rispetto all’agenzia perché magari prenotato tramite un motore di ricerca che in quel determinato periodo propone offerte particolari (quindi magari oggi un hotel su Booking.com ha uno speciale 30% di sconto applicato dal portale e viene eccezionalmente a costare meno rispetto alla tariffa comunicata dallo stesso hotel all’agenzia, perché lo sconto agenzia viene calcolato sulla tariffa base standard esulando da quella che può essere scontistica straordinaria dei motori di ricerca), ma si tratta appunto di casi rari.

Fanno storia a sé ovviamente i servizi di organizzazione viaggio tailor-made, ovvero “su misura”: un TO o un’ADV che propone questa tipologia di viaggio applica in genere una percentuale extra sul costo totale del viaggio, trattenendo quindi non solo il mark-up dei singoli servizi inclusi ma chiedendo al cliente anche un contributo (legittimissimo, credetemi!) per il servizio di personalizzazione dell’itinerario. Ciò significa che, al di là di piccoli aggiustamenti che si possono a volte chiedere anche su pacchetti preconfezionati, in questo caso l’itinerario viene costruito completamente da zero seguendo per quanto possibile nel dettaglio le richieste dei viaggiatori, quindi il lavoro di stesura di una prima proposta con allegato preventivo, eventuali modifiche successive, prenotazioni ad accettazione avvenuta e gestione di tutti gli aspetti del viaggio in seguito va giustamente retribuito a parte. Ma parlerò più in dettaglio di questa possibilità in seguito…

Rischi e benefici dell’organizzazione in autonomia

Come accennavo nell’introduzione, ritengo che il fai da te non sia necessariamente una tipologia di viaggio adatta a tutti. Con questo naturalmente non voglio dire che chi si dedica alla pratica sia particolarmente smart mentre gli altri siano totalmente incapaci: si possono avere spiccatissime capacità in altri campi e comunque non essere particolarmente portati per o interessati all’organizzazione di viaggi (così come io ad esempio non sono portata per la musica), in quanto ad affinare le proprie doti in questo campo contribuisce anche la propria esperienza passata, il sapere dove cercare informazioni (affidabili!) e dove fare cross-checking, come districarsi in caso di problematiche prima e durante il viaggio ecc.
Ma, soprattutto, per dedicarsi a questa pratica occorre essere ben predisposti, pazienti e appassionati, perché spesso le ricerche della soluzione migliore per uno spostamento o per un alloggio in una destinazione che non si conosce, tra la verifica dei costi, gli orari, la posizione migliore ecc. possono portare via ore… e giustamente non a tutti va, oltre magari a non avere materialmente tempo libero per farlo per bene.
Soddisfare le proprie esigenze (nonché aspettative) per un viaggio è importantissimo, perché si tratta di esperienze spesso irripetibili, per cui chi si dedica al fai da te lo fa in genere per poter avere il pieno controllo del proprio itinerario, scegliendone ogni singolo aspetto al dettaglio, perdendoci tempo e investendo impegno con la sicurezza che “nessuno si dedicherà mai a qualcosa di tuo con la stessa dedizione con cui lo faresti tu stesso”. E lo fa perché ha tempo e modo per farlo.

Ad oggi le informazioni su gran parte delle destinazioni del mondo sono accessibili con qualche click, leggendo le pagine ufficiali delle varie attrazioni e degli Enti del Turismo locali di una certa meta, forum e blog di viaggi per confrontarsi con altri viaggiatori che hanno già vissuto quella esperienza o una simile, quindi è possibile “studiare” attentamente un luogo e ciò che ha da offrire prima di iniziare a fantasticare su ciò che ci piacerebbe vedere, fare e provare prima e a delineare il proprio itinerario poi. Allo stesso modo, c’è un più diretto accesso ai motori di ricerca più svariati per la comparazione di diverse soluzioni di viaggio (dai voli ai treni, dalle crociere agli alloggi, passando per i pacchetti già pronti), cosa che ha permesso di sviluppare una certa autonomia per i viaggiatori.
Tuttavia, anche nell’organizzazione del viaggio apparentemente più banale è importante non sottovalutare alcuni aspetti che possono portare a scontento in seguito: decidere magari di includere una tappa nel proprio itinerario specificamente perché vi si vorrebbe visitare un’attrazione che, ahimè, si scopre in seguito che proprio in quel periodo è chiusa, oppure (peggio ancora!) sorvolare per errore sulla consultazione delle restrizioni di ingresso in un Paese e vedersi completamente bloccati in partenza. Mi è capitato di parlare con un collega, tempo fa, che mi ha riferito di un suo contatto che aveva organizzato per intero da sé un viaggio negli Stati Uniti dimenticando però di fare (o forse non sapendo proprio di dover fare) domanda per l’ESTA, così come capita a volte di non consultare tutte le specifiche per quanto riguarda visti e requisiti vaccinali per una certa destinazione (da e per il nostro Paese ma anche tra Paesi diversi se si organizza un viaggio in più mete). Anche solo un piccolo errore nella compilazione di tutti i campi per la prenotazione di un biglietto aereo è tutt’altro che uno scherzo, e non solo chi lavora in questo ambito ma anche chi viaggia spesso e ha magari incontrato situazioni simili lo sa bene.
La stipula di un’assicurazione di viaggio è negli ultimi anni diventato uno di quei passaggi che anche il viaggiatore fai da te più “rilassato” non tralascia più, ma bisogna sempre ricordarsi di leggere i contratti attentamente in ogni punto prima di sottoscrivere la polizza, consapevoli che avere un’assicurazione non vuol dire avere un lasciapassare verso qualsiasi evenienza (in particolare, come si suol dire, “la legge non ammette ignoranza”, perciò dimenticanze ed errori evitabili commessi dal viaggiatore in fase di prenotazione non portano ad alcuna possibilità di richiesta di rimborso).
Ugualmente, se ci sono norme che regolano l’accesso in un determinato Paese, bisogna sapere dove reperire le informazioni reali e leggere i testi nella loro interezza, non limitarsi alle parti che “ci piacciono” o affidarsi al sentito dire (“io non ho mai seguito le accortezze che suggeriscono nel sito taldeitali e mi è sempre andata bene”).

Esistono vie di mezzo?

Come da titolo dell’articolo, ad oggi il mercato dei viaggi è ricchissimo di varietà, motivo per cui è ancora più miope a mio vedere parlare solo per estremi e bollare una tipologia di viaggio o l’altra superficialmente come “da viaggiatori” e “da turisti”. Ma che vuol dire poi? Siamo tutti turisti quando andiamo in un posto e facciamo un’esperienza come la visita di un museo o un palazzo storico che, anche quelli, raccontano di un luogo tanto quanto la cooking class di ricette tipiche, l’esperienza immersiva nel villaggio sperduto sulle Ande o il bagno con gli elefanti in una riserva naturale. Un viaggio è fatto di tutti questi aspetti e molti di più, va a soddisfare tutti e cinque i sensi ma anche a stimolare l’intelletto e le emozioni: di fatto mi verrebbe da dire che un “viaggiatore” che non è un po’ anche turista è qualcuno che parte esclusivamente per confondersi con la popolazione del luogo e non fa nessuna delle attività proposte da operatori locali per conoscere i dintorni e il background culturale, storico e artistico del posto che potrebbero anche solo vagamente essere riconducibili a un interesse da visitatore “forestiero”. Ma, oggettivamente, quanti dei “veri viaggiatori” che commentano sui social fanno davvero questo regolarmente nei loro viaggi?
La varietà che si incontra oggi nel mondo dei viaggi va quindi a rispondere a un crescente interesse all’esperienza più autentica da mixare armoniosamente al più classico sightseeing… o anche no, dipende da ciò che si cerca. D’altronde non siamo tutte persone uguali, di conseguenza non possiamo essere tutti viaggiatori uguali, e questo gli operatori del settore lo sanno e si stanno ormai già da anni attrezzando in merito. Quindi sì, in agenzia viaggi propongono ancora anche pacchetti preconfezionati per chi ama la comodità di non dover organizzare ogni singolo punto del proprio viaggio da sé, ha la serenità mentale di affidare tutto in mano a un professionista (anche per questo bisogna essere predisposti, non a tutti viene naturale… tipo io raramente riesco, è un mio limite e, pur riconoscendo la mia ignoranza in un determinato ambito per cui devo rivolgermi a chi di competenza, ho il piacere di farmi ragguagliare da loro per quanto possibile sui dettagli), vuole risparmiare qualcosa perché tanto non ha particolari esigenze di personalizzazione del proprio itinerario e le tappe già incluse nel programma standard gli vanno bene, non ha tempo o semplicemente voglia di sbattersi con duemila ricerche. Se c’è chi lo fa per lavoro, è perché evidentemente È un lavoro, e mentre come detto nel punto precedente c’è chi trae piacere e soddisfazione dall’attività di creazione del proprio itinerario, altri ne fanno volentieri a meno per i motivi più disparati.
Da qui il “dipende” della mia risposta all’ultima domanda nell’introduzione. Molto spesso, quando lavoravo in tour operator, a contattarci erano proprio viaggiatori navigati, che sapevano muoversi benissimo autonomamente ma chiedevano l’intervento di un professionista per un viaggio particolare per vari motivi: perché magari era il loro viaggio di nozze, e si sa che per un matrimonio c’è già così tanto da organizzare che se si può delegare qualcosa a qualcun altro lo si fa volentieri, o perché magari in quella specifica destinazione proprio non se la sentivano di andare a tentoni, oppure ancora perché volevano qualcosa di diverso dal solito (un viaggio con destinazione a sorpresa, un’esperienza particolare a cui da soli potrebbero non pensare in un certo luogo) o perché dovevano partire per forza di cose in un periodo dell’anno particolarmente intenso per cui mancava loro il tempo materiale per dedicarsi a un’attenta selezione di… beh, tutto! Trasporti, alloggi, attività, suggerimenti per il tempo libero e chi più ne ha più ne metta.
Per questa ragione, come accennavo anche nel primo punto, sempre più spesso sia tour operator che agenzie di viaggio offrono la possibilità di rivolgersi a loro non soltanto per questi pacchetti standardizzati, ma anche per poter coniugare la flessibilità che si avrebbe in un viaggio fai da te (con tutti gli aspetti che rispecchiano per quanto possibile i gusti e preferenze dei viaggiatori) con la comodità di non dover gestire autonomamente anche i lati più laboriosi dell’organizzazione (prenotazioni, eventuali cambiamenti da parte dei fornitori dei servizi, overbooking ecc.) e la sicurezza di essere tutelati in caso di disagio senza doversene prendere carico da sé durante il viaggio, con tutto il potenziale stress del caso. La famosa “via di mezzo” si chiama travel design.

Chi è e cosa fa un travel designer

Già presentarsi come accompagnatrice turistica crea spesso un po’ di confusione nei non addetti ai lavori (“Cioè intendi guida?” – “No, sennò dicevo guida, che è un’altra professione”, oppure “Ma… accompagnatrice in che senso?” *sguardo malizioso ad accompagnare battuta che ormai non fa più ridere nessuno*), quando dico di essere una travel designer mi capita ancora più spesso di provocare curiosità e domande a riguardo.
Questa figura professionale è infatti ancora relativamente nuova nel panorama italiano rispetto all’estero, ma sta prendendo sempre più piede ormai da qualche anno (mi verrebbe da dire con maggiore intensità a seguito della pandemia e del conseguente desiderio di molti viaggiatori di avere esperienze di viaggio più significative, comunque create su misura dei propri interessi ma con una sicurezza in più rispetto a quelle che possono essere tutta una nuova varietà di imprevisti in viaggio che in tanti non erano pronti o in grado di gestire autonomamente). Si tratta di una figura flessibile che coniuga in un certo modo il desiderio di personalizzazione di un fai da te alla garanzia di supporto professionale alle spalle data da un viaggio organizzato.

Il travel designer è in primis un viaggiatore esperto e appassionato, che ama riversare nel proprio lavoro la stessa attenzione ai dettagli che dedicherebbe all’organizzazione dei propri viaggi; tuttavia, essere un/a bravo/a travel designer non comporta necessariamente aver già viaggiato in tutto il mondo. Questa figura deve infatti, ancor prima dell’esperienza diretta in una determinata meta che gli/le potrebbe essere richiesta:

  • avere spiccate doti organizzative e piena conoscenza del settore, delle legislazioni e della contrattualistica, e avere o sapere dove reperire i giusti contatti locali con cui relazionarsi in una certa destinazione (importantissimo perché saranno i professionisti a cui si affideranno i propri clienti per le esperienze in loco, e molti ottimi contatti con cui mi è personalmente capitato di rapportarmi alle varie fiere di settore sono specificamente B2B, quindi non offrono i propri servizi direttamente a privati ma solo per intermediazione di agenzie, t.o. o altri professionisti);
  • essere in grado di rapportarsi con i viaggiatori che lo/la contattano, mostrando empatia per i loro desideri e piena comprensione delle necessità e delle preferenze di viaggio che vengono indicate, spesso anche correggendo delle aspettative non realistiche riguardo una determinata esperienza e suggerendo periodi più indicati e soluzioni migliori per una determinata meta (che potrebbero non coincidere con l’idea iniziale del viaggiatore), talvolta anticipando alcuni bisogni dei propri interlocutori che l’esperienza ha insegnato a suggerire anche se rimasti inespressi da chi si ha davanti. Come ripeteva spesso la mia insegnante alla Travel Designer Academy, essere un travel designer a volte è anche un po’ essere uno psicologo nei confronti delle attitudini del viaggiatore.

Perciò non è detto che essere un infaticabile viaggiatore zaino in spalla, che ha visitato già tutti i continenti a neanche 40 anni, significhi automaticamente anche saper riversare tutto quell’entusiasmo nel prodotto di viaggio di qualcun altro, che magari ha esigenze diverse a livello di modalità di soggiorno, tempistiche da dedicare alle proprie esperienze… a volte forse anche solo timore di uscire dalla propria comfort zone (aspetto che non va mai trascurato quando si mette il proprio impegno al servizio della creazione dell’itinerario dei sogni di un’altra persona): come in qualsiasi settore, infatti, l’entusiasmo non è tutto e sono necessarie solide basi professionali.

Ci sono poi professionisti che proprio per inclinazioni personali sentono di volersi dedicare a una nicchia specifica di viaggiatori, a cui possono offrire un supporto più a tutto tondo in quanto più affini alla tipologia di esperienza che vanno a delineare (c’è ad esempio chi è specializzato in una determinata destinazione o area geografica, chi lavora solo su itinerari attivi/di trekking, chi è specializzato nella creazione di itinerari enologici, chi prettamente culturali, chi si rivolge solo a famiglie con bambini e chi a donne che viaggiano in solitaria, ecc.).
Ad ogni modo, sebbene non esista ancora una regolamentazione univoca del mestiere nel nostro Paese (figuriamoci, già con le altre professioni turistiche di più lunga data stiamo avendo grossi grattacapi con l’aggiornamento della legislazione…!), chi vuole operare come travel designer deve aver seguito almeno un percorso professionalizzante e, se si vuole offrire qualcosa di più della sola consulenza (svolgendo quindi questo ruolo quasi a 360° al pari di come farebbe un agente di viaggio, dedicandosi anche a finalizzare tutte le prenotazioni per conto dei clienti e seguendo poi lo svolgimento del viaggio passo passo, così da essere un vero e proprio punto di riferimento), per legge è necessario conseguire anche l’abilitazione da direttore tecnico oppure affidare la direzione tecnica dei propri pacchetti di viaggio a un tour operator a cui si è affiliati.

Il consiglio per chi sceglie di affidarsi a un travel designer è quindi di:

  • informarsi sul tipo di servizio offerto (se solo consulenza o creazione itinerario a tutto tondo) e, su quella base, valutare il grado di responsabilità coperto dal professionista. Non è detto infatti che tutti vogliano le garanzie dalla A alla Z di un tour operator che segue la preparazione e poi lo svolgimento del viaggio, ci sono viaggiatori esperti che magari preferiscono rivolgersi a un travel designer per poter accedere alle sue conoscenze di una destinazione e pagare solo il contributo richiesto per farsi delineare un itinerario dettagliato, provvedendo poi personalmente alle prenotazioni tramite i contatti fidati da questo/a forniti;
  • accettare il primo contatto conoscitivo (via mail o meglio in videocall, se possibile), approfittandone per dare tutte le informazioni importanti su che tipo di viaggiatori si è e cosa si ricerca nel viaggio che si vuole studiare insieme. Il più delle volte il travel designer offre anche una prima stesura di itinerario scheletrico a titolo gratuito, da cui partire per affinare poi le ricerche una volta appurato che si tratta proprio del professionista adatto ai propri bisogni e che si desidera proseguire insieme nell’organizzazione.

Attenzione però! Un travel designer non fa al caso vostro se:

  • vorreste un prodotto low-cost. Come già menzionato in un altro paragrafo la personalizzazione dell’esperienza di viaggio comporta un maggiore dispendio di energie da parte di chi organizza, perciò è possibile senz’altro chiedere al travel designer di contenere i costi laddove possibile tra i servizi inclusi nell’itinerario, ma non ci si può aspettare di non retribuire il lavoro in sé del professionista;
  • volete soltanto carpire qualche spunto. Parallelamente a quanto indicato nel punto precedente, va da sé che sia eticamente scorretto far perdere tempo a un professionista sul proprio viaggio solo per “avere un’idea” se si sa già in partenza che si vorrebbe poi fare da sé;
  • cercate una soluzione last minute. Per definizione, il lavoro del travel designer è qualcosa di paragonabile alla fattura artigianale di un prodotto su misura, per cui richiede tempo di ricerca e cura che non si sposano bene con la fretta di prendere una decisione all’ultimo momento riguardo una partenza imminente.

Checché se ne possa dire, i viaggi sono un tema tutt’altro che banale! C’è chi li definisce “optional della vita”, ma di fatto si tratta di tempo preziosissimo – il nostro tempo libero, che decidiamo di investire in questo modo. E che sia una vacanza rilassante o un avventuroso viaggio on the road, di una sola o più tappe, a due passi da casa o dall’altra parte del mondo, la legislazione italiana tutela il consumatore nell’ambito dei viaggi organizzati, per cui la responsabilità di chi opera in questo ambito è piuttosto alta e la pratica non può essere presa alla leggera da persone non abbastanza preparate.
Perciò, che si ami il fai da te o che ci si affidi a un viaggio organizzato, ritengo che la propria serenità mentale in un momento pensato per la scoperta e la crescita o per del sano relax (a seconda delle attitudini personali) come può essere un viaggio debba venire al primo posto, facendoci prendere le decisioni che riteniamo più affini al nostro personalissimo modo di approcciarci al viaggio senza che qualcun altro ci faccia sentire sbagliati o “meno viaggiatori” per questo.

Fatemi sapere la vostra in merito qui sotto nei commenti e contattatemi pure se siete curiosi riguardo la professione di travel designer e volete saperne di più su come formarsi e cosa aspettarsi da questo lavoro.
Alla prossima!

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