Visitare il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, situato nel quartiere Flaminio a Roma, è una vera e propria immersione nella cultura e in larghissima parte di quello che sappiamo di questa affascinante, così come per lungo tempo misteriosa, popolazione che abitò il centro Italia da ben prima che i romani ne conquistassero l’intero territorio.
Avevo avuto modo di ammirare i suoi reperti per la prima volta da bambina, ovviamente in occasione di una gira scolastica di rito ai tempi delle elementari (parallelamente alla visita organizzata a una delle necropoli etrusche presenti sul territorio laziale), ma tornarci da adulta è significato meravigliarsi dello splendore della villa che ospita le collezioni, riscoprire quei pezzi che mi avevano colpita all’epoca e scavare maggiormente sul loro passato, approfondire la conoscenza che già avevo di questo popolo con ulteriori dettagli raccontati lungo il percorso. Gli etruschi hanno infatti giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo del popolo romano fin dai tempi in cui questi ultimi erano ancora organizzati in un regno di estensione piuttosto modesta, hanno influenzato le civiltà limitrofe spesso provocando anche riflessioni e considerazioni su usanze e tradizioni molto diverse da quelle a cui si era abituati al tempo (e sono queste le fonti principali a cui possiamo attingere oggi per conoscere di più la loro quotidianità, dal momento che di testi scritti di origine prettamente etrusca ci è arrivato ben poco al di là delle iscrizioni funebri), e sebbene molti ne ricordino solo vagamente il nome dagli studi scolastici come per i fenici, gli assiri o i babilonesi, senza forse riuscire a trovare una vera e propria connessione a eventi particolari nel proprio cassetto della memoria, si tratta di un popolo che vale senz’altro la pena conoscere di più.
Ecco quindi perché consiglio un salto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia se vi trovate a Roma per abbastanza giorni da potervi dedicare anche a una visita un po’ meno “scontata” e più di nicchia, all’interno di una struttura che è riuscita a organizzare un vero e proprio percorso onnicomprensivo che, attraverso i pannelli esplicativi e i reperti esposti, collega i fili anche a molti dei siti archeologici e degli scavi disseminati per gran parte d’Italia, così da fornire volendo spunti di partenza per “proseguire la conoscenza” anche altrove… e in cui riconoscerete sicuramente anche alcuni pezzi direttamente dai vostri vecchi libri di scuola!

Cosa sappiamo degli etruschi e perché vale la pena conoscerli
Come accennato, degli etruschi abbiamo tuttora fonti piuttosto sparute se le confrontiamo con quanto ci è pervenuto ad esempio della civiltà greca o romana, così da avere ancora diverse scuole di pensiero tra gli archeologi che ne hanno studiato lo sviluppo perfino riguardo la loro origine. C’è infatti chi sostiene che potessero essere originariamente una popolazione nomade, proveniente probabilmente dall’Asia Minore o dall’Europa centrale e stanziata poi nel centro Italia, dove la presenza di siti funerari dimostrano il superamento della fase errante, chi invece li ha da sempre individuati come nativi della nostra penisola ma forse per lungo tempo isolati dalle popolazioni limitrofe per usi e, soprattutto, linguaggio estremamente diversi. Tuttavia abbiamo dimostrazione di scambi con alcuni di questi popoli in epoca più vicina a noi (hanno intessuto frequenti rapporti commerciali ad esempio con greci e fenici, anche grazie al fatto di essere molto versati nella navigazione), relazioni da cui appunto, come menzionato prima, provengono ad esempio molte delle nostre conoscenze sul loro assetto sociale e politico. Uno degli aspetti che mi ha sempre affascinata degli etruschi è ad esempio l’equità riservata alla donna in ambito pubblico, cosa ovviamente spesso mal vista da osservatori esterni dell’epoca. Sappiamo che l’ordinamento era principalmente in città-stato governate da rappresentanti locali, con una sovrastruttura e un’organizzata rete di comunicazione tra queste.
Degli etruschi non ci sono arrivate molte fonti scritte dirette, tolte le iscrizioni sulle tombe (che di fatto da sole non aiutano molto a delineare la quotidianità e la cultura di un certo popolo), per questo la stessa lingua, largamente decifrata solo in decenni recenti, ha a lungo contribuito al mistero che avvolgeva la maggior parte degli aspetti della loro vita e delle loro origini.

Ciò che sappiamo oggi ci restituisce l’immagine di un popolo affascinante e che vale la pena approfondire perché a suo modo moderno sotto vari aspetti, raffinato e civile, di grande culto religioso ma anche amante delle arti come danza, musica e poesia, dedito al commercio ma anche all’avanguardia sotto il punto di vista delle “tecnologie” dell’epoca, che con i propri avanzamenti ha contribuito molto anche allo sviluppo infrastrutturale e non solo delle popolazioni limitrofe. È dagli etruschi ad esempio che i romani hanno mutuato l’idea dell’arco a volta e degli impianti fognari, ma erano anche mastri orafi e ceramisti in grado di realizzare pregiate filigrane con tecniche piuttosto avanzate e un tipo di vasellame di un caratteristico nero lucente, noto come bucchero, molto ricercato all’epoca, realizzato all’interno di forni chiusi appositamente realizzati per ottenere l’impeccabile risultato ancora ammirabile in molti dei artefatti rinvenuti dagli archeologi.
C’è da dire che con i romani gli etruschi non hanno sempre vissuto un rapporto di civile vicinanza, a volte anche appoggiando rivolte sia interne che esterne ai loro danni, ma col tempo ne sono stati inglobati (gli ultimi tra i celebri sette re di Roma erano proprio di origine etrusca)… e come si sa i romani spesso conquistarono territori stranieri per poi “venire a loro volta conquistati” da quelle civiltà: così come con greci ed egizi successe in parte anche con gli etruschi che alcuni aspetti della vita di questa popolazione influenzassero la quotidianità romana. Il culto delle divinità “di Stato”, rappresentati dalla triade di Giove, Giunone e Minerva, derivano infatti proprio dalla religiosità etrusca, così come l’affidarsi a dei sacerdoti noti come aruspici in grado di interpretare la volontà divina attraverso la consultazione, tra le altre cose, delle viscere di animali, o ancora l’adozione di simboli della regalità e del potere un tempo prettamente etruschi come la corona d’oro e il fascio littorio, passando anche per un tratto ormai notoriamente associato agli antichi romani ma che non avrebbe così ampiamente pervaso questa società non fosse stato per l’influenza etrusca e l’assorbimento delle sue conoscenze: la dedizione ai complessi termali, realizzati in larga parte anche grazie alle estensive conoscenze in campo idraulico degli etruschi.
I territori che li ospitarono comprendono gran parte delle attuali regioni della Toscana, Umbria e Lazio (specialmente la Tuscia), ma giunsero fino in Campania e, a nord, all’attuale Emilia Romagna: hanno origini etrusche, tra le altre, città come Bologna, Perugia, Orvieto, Volterra, Arezzo, Chiusi e Tarquinia.
Se con tutta questa premessa vi ho convinti che gli etruschi valgono senz’altro un approfondimento, il Museo Nazionale di Villa Giulia è decisamente un perfetto punto di partenza.

La splendida cornice di Villa Giulia
Il Museo Nazionale Etrusco ha trovato la sua sede in Villa Giulia nel 1889. Questa villa rinascimentale realizzata a metà del Cinquecento da Papa Giulio III, di cui riprende appunto il nome, è già di per sé un buon motivo per organizzare una visita: appena passata la biglietteria ci si trova in un monumentale portico semicircolare, dai soffitti e le pareti riccamente affrescati con un ciclo pittorico ispirato alle grottesche di epoca romana. Questo primo spazio aperto comunica con un secondo giardino, più avanti, in cui spicca il Ninfeo, quella che definirei la vera e propria gemma dell’edificio: accessibile da una monumentale loggia, con balconate su più livelli e scalinate che conducono fino a un piano inferiore, è possibile ammirarvi i mosaici in bianco e nero che decorano il pavimento, richiamando esempi di simile magnificenza nelle antiche terme romane, e fontane servite nientemeno che dall’Acquedotto Vergine (unico degli antichi acquedotti romani ancora in funzione, lo stesso che alimenta anche la Fontana di Trevi).
Al piano nobile è invece possibile ammirare, insieme alle collezioni di reperti etruschi esposti, affascinanti cicli di affreschi che arricchiscono le sale.
Un progetto edilizio che, nell’arco degli anni in cui è stato in costruzione, ha visto avvicendarsi artisti e architetti del calibro di Vasari, Jacopo da Vignola, Bartolomeo Ammannati e perfino Michelangelo.
Non ho invece ancora avuto modo di visitare la seconda sede del museo, inaugurata nel 2012 a Villa Poniatowski, a letteralmente pochi passi da Villa Giulia, perché attualmente in fase di restauro grazie a fondi del PNNR (dovrebbe riaprire questo autunno). Il progetto di questo secondo edificio, eretto su resti di una precedente villa cinquecentesca di cui alcuni impianti sono riemersi durante il restauro di fine anni Novanta e che oggi ospita perlopiù reperti da Umbria e Latium Vetus (ma si sta lavorando per rinnovare l’ala che dovrebbe ospitare anche una serie di esposizioni temporanee), è stato affidato a inizio Ottocento a Giuseppe Valadier, architetto tra le altre cose della Reggia di Caserta, da Stanislao Poniatowski, nipote dell’allora re di Polonia.


Sezioni e highlight delle collezioni del Museo Nazionale Etrusco
Dall’ingresso andando verso sinistra si passa dalla zona dell’emiciclo a entrare nelle prime sale del piano terra e la visita procede semplicemente percorrendo l’intera ala sinistra della villa, prima sul piano terra e poi salendo al primo piano e percorrendo l’intera lunghezza del corridoio a ritroso. In questa prima parte si trovano già alcuni dei pezzi più rappresentativi del museo, come il celebre Sarcofago degli Sposi.
All’interno del percorso museale, come detto, si trovano reperti provenienti da molti diversi scavi e necropoli etrusche e i pannelli esplicativi descrivono non solo nello specifico ciò che si sta ammirando nelle varie teche, ma si collegano anche ai vari siti per raccontarne lo sviluppo culturale e amministrativo nonché la rilevanza all’interno della rete delle città-stato etrusche. Al piano terra quindi si comincia con la sezione dedicata a ritrovamenti nella zona di Vulci, in cui spiccano ricostruzioni come quella della cosiddetta Tomba del Carro di Bronzo, proprio all’ingresso, ed è possibile ammirare diversi elementi che costituivano i corredi funebri in epoca villanoviana (tra il X e l’VIII secolo a.C.), ovvero ai barlumi della civiltà etrusca, leggendo poi delle diverse tecniche di realizzazione del vasellame, delle influenze orientali, dei diversi tumuli e della graduale evoluzione a tombe a camera man mano che si avanza nella visita e si passa alla sezione dedicata a Cerveteri.

È qui che si può rimanere estasiati di fronte al Sarcofago degli Sposi, pezzo che infatti ricordavo chiaramente già dalla mia primissima visita negli anni della scuola elementare e di cui esiste anche un esemplare pressoché gemello, della stessa provenienza e di simile datazione oggi esposto al Louvre di Parigi. Si tratta di un’urna di dimensioni impressionanti, decorata dalle figure dei due sposi per cui è stata realizzata nella seconda metà del VI secolo a.C. e di cui conteneva le ceneri, rappresentati distesi su un letto uno di fianco all’altra. Nei tratti somatici e in alcune caratteristiche di fisicità ed espressioni facciali si riconosce già l’influenza dell’arte ellenica che iniziava a spopolare in Etruria in quel periodo e in particolare nella zona di Cerveteri (più precisamente nella località Banditaccia, oggi dichiarata Patrimonio Unesco per via del suggestivo panorama archeologico fatto da una serie di tombe a tumulo scavate nel tufo e al cui interno venivano riprodotte caratteristicamente aree e planimetrie di case dei viventi, con tanto di porte, colonne, letti e altri mobili), che costituiva uno dei centri principali del territorio etrusco con anche sbocco sul mare e in cui l’opera è stata rinvenuta nel 1881 in molti frammenti poi riassemblati.
Il piano terra si conclude, girando l’angolo, con una sala che ospita frammenti del Santuario di Pyrgi, uno degli insediamenti portuali legati appunto all’antica Cerveteri (all’epoca nota come Caere). Il luogo di culto, di cui sopravvivono qui esposti elementi dell’altorilievo con rappresentate scene della tragedia greca di Eschilo “I sette contro Tebe”, fu saccheggiato Dionisio I di Siracusa nel IV secolo a.C.
Ci sarebbero da non perdere anche le tre sale nella zona seminterrata, accessibili prima di lasciare la sezione dedicata a Vulci e che conservano due tombe rispettivamente dei siti di Cerveteri e di Tarquinia ricreate nel contesto museale, ma purtroppo non erano accessibili durante la mia visita, così come la zona delle esposizioni temporanee al piano nobile.

Salendo al piano superiore si osserva prima il piccolo spazio dedicato alle epigrafi per poi percorrere la sezione dedicata alle collezioni antiquarie (di cui la maggior parte provenienti dal Museo Kircheriano), tra cui spicca la cosiddetta Cista Ficoroni, uno tra gli esempi a noi meglio pervenuti di contenitore in rame con coperchio per abiti o elementi di toeletta di fattura antico-italica, rinvenuta nel territorio di Palestrina (poco fuori Roma) nel Settecento ma databile al IV secolo a.C.
Da questa zona generalmente ci si ricollega direttamente alla sezione dedicata alla Collezione Augusto Castellani, ospitata nella suggestiva area semicircolare posta direttamente sopra all’emiciclo, ma come detto avendo io trovato chiusa la sala di collegamento in genere utilizzata per esposizioni temporanee ho dovuto fare un giro diverso per arrivarci. Questa collezione è uno dei più “nuovi” acquisti del museo, a cui viene destinata dopo che lo Stato Italiano la acquisì dall’omonima famiglia nel 1919. I Castellani erano un’antica dinastia di orafi e collezionisti romani, e la collezione qui esposta presenta molteplici esempi di gioielleria, ceramiche, opere in bronzo, vetro e avorio, di cui qualche esemplare moderno ma realizzato dalla famiglia seguendo le antiche tecniche etrusche. Alcuni di questi reperti provengono dalla cosiddetta tomba Castellani, così chiamata perché rinvenuta nel territorio di una tenuta di proprietà della famiglia, e di cui gran parte del contenuto è stato però sfortunatamente perso o destinato altrove a causa di una lunga diatriba giudiziaria legata al ritrovamento e ai primi scavi in loco ritenuti illegali: durante questo periodo parte dei ritrovamenti ad esempio sono finiti venduti al British Museum.


Proseguendo nell’ala destra del museo, si passa da un piccolo mezzanino che ospita ritrovamenti dal sito di Bisenzio, sulle sponde del lago di Bolsena, tra cui elementi di corredi funerari in bronzo. Si prosegue poi a esplorare tutto il primo piano, che ospita la sezione dedicata alle popolazioni dell’agro falisco-capenate (per me zone più conosciute, tra Capena, Nepi, Corchiano e Vignanello) e i reperti rinvenuti in questi siti. La parte dedicata a Falerii Veteres (area che ho avuto modo di esplorare durante un archeo-trekking qualche anno fa e che mi è davvero piaciuta, spero di riuscire a parlarvene presto sul blog ma intanto QUI trovate qualche accenno) si estende in parte anche nel piano inferiore, ed è qui che si trovano alcuni degli altri highlight del museo: uno è l’altorilievo del frontone di un tempio di Falerii risalente a metà del III secolo a.C. che raffigura presumibilmente una scena dal mito di Andromeda, figlia di Cassiopea legata a una roccia come punizione divina da Zeus per essere data in pasto a un mostro marino, ma salvata da Perseo che la prese successivamente in moglie; l’altro sono elementi del santuario di Giunone Curite, luogo sacro alla dea rappresentata come protettrice della fecondità, il cui culto pare fosse così sentito da sopravvivere anche alla distruzione della città e proseguì anche nei decenni successivi con processioni annuali al suo tempio per richiedere fertilità all’interno della coppia di sposi. Tra gli elementi esposti in questa sezione, ho particolarmente ammirato il busto, piccolo ma riccamente rifinito di dettagli, della dea Giunone, datato nella prima metà del IV secolo a.C.


Si conclude con le sale dedicate a Veio, ricordata come “la più potente città etrusca” ai tempi della fondazione di Roma, di cui era il centro etrusco più vicino (appena 12 miglia). A spiccare qui sono i reperti facenti parte dei corredi funerari dei grandi sepolcreti della zona, tra cui il cosiddetto Olpe Chigi (una brocca in ceramica presumibilmente utilizzata in banchetti e decorata con pregiate pitture policrome, databile al VII secolo a.C. e considerato un capolavoro dell’arte ceramica coriniza importata in Etruria, rinvenuta nell’area dell’odierna Formello a fine Ottocento) e, altro vero e proprio pezzo di spicco del museo, l’Apollo del Tempio di Portonaccio. Rinvenuta nel 1916, questa statua in terracotta in ottime condizioni era parte di un complesso posto a decorazione della parte alta del tetto del santuario, di cui nella stessa sala possiamo ammirare alcuni frammenti: Apollo, raffigurato con un braccio teso, si stava presumibilmente avviando minacciosamente arco alla mano verso Eracle (un altro soggetto spesso raffigurato nelle ceramiche e nelle sculture etrusche e che qui appare con la cerva dalle corna d’oro tra le mani), per fermare l’eroe che nell’espletamento di una delle sue celebri dodici fatiche aveva appunto catturato un animale sacro alla dea Diana, sorella di Apollo, anche lei presente sulla scena insieme al dio Mercurio (di cui è esposta la testa). A poca distanza è possibile ammirare anche la statua di Latona, madre di Apollo e Diana, raffigurata mentre fugge con il bambino in braccio per salvarsi dal serpente Pitone.
Per me che ho sempre amato la mitologia greco-romana, ritrovare anche in questa sezione di un museo etrusco richiami a queste divinità e miti in qualche modo condivisi da diverse popolazioni vicine nel tempo e nello spazio è stato forse uno dei punti più affascinanti della visita.


Info pratiche
Il museo si trova in Piazzale di Villa Giulia 9, a circa un quarto d’ora a piedi (passeggiata comoda) dalla metro A Flaminio, ma ci si può avvicinare anche usufruendo del bus C3 e del tram della linea 2 scendendo alla fermata Flaminia/Villa Giulia facendo poi un breve tratto a piedi o tram 19 con fermata Museo Etrusco Villa Giulia proprio di fronte all’ingresso.
In auto si arriva facilmente tramite la via Flaminia ma non essendoci un parcheggio dedicato considerate sempre le solite difficoltà intrinseche delle vie centrali di Roma.
Il costo del biglietto d’ingresso è di 13€ per adulto e 2€ il ridotto per giovani dai 18 ai 25 anni, ma esistono anche molte convenzioni con vari enti locali e nazionali che consentono un’ulteriore riduzione e abbonamenti annuali, semestrali e trimestrali piuttosto convenienti, che garantiscono accessi illimitati andando dai 48€ all’anno per adulto ai 36€ per senior (dai 65 anni), dagli 80€ per famiglia (2 adulti e 2 bambini) al quasi assurdamente basso 10€ per la categoria Young (18-25 anni). Come molte altre istituzioni museali nazionali, l’ingresso è gratuito la prima domenica del mese e nelle giornate del 25 aprile, 2 giugno e 4 novembre.
Il museo è aperto tutti i giorni tranne il lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaio, rispettando gli orari 08:30-19:30 (ultimo ingresso alle 18:30 ma con chiusura delle sale già a partire dalle 19:00).
In generale, per una visita approfondita e senza fretta, metterei in conto perlomeno tre ore piene.

Riguardo l’accessibilità, il museo organizza periodicamente visite per ospiti con disabilità visive, fornendo anche supporti tattili e condotte da personale qualificato, mentre per ospiti con disabilità uditive è possibile integrare la visita con l’utilizzo direttamente online o il download di un’app apposita che offre videoguida in LIS delle collezioni.
Sono state poi rimosse la maggior parte delle barriere architettoniche e alla quasi totalità delle sale si può accedere, se non direttamente, grazie ad ascensori o a supporti per sedie a rotelle.
Al suo interno non è al momento disponibile una vera e propria area ristoro, ma ci sono dei distributori automatici nei giardini, in un’area non lontana dai bagni. Segnalo però, quasi con commozione, una saletta nursery, con fasciatoio e poltroncina per allattamento al bisogno (chiedete al personale per trovarla rapidamente, è vicina all’ingresso/fine percorso).
Voi quanto sapevate degli etruschi? Sono una civiltà che vi incuriosisce e di cui vi piacerebbe sapere di più? Se sì, magari prossimamente cercherò di scrivere qualcosa anche a proposito di vari altri siti e necropoli etrusche qui nel Lazio.
Fatemi sapere se conoscevate questo museo di Roma o se ci siete mai stati, se vi è piaciuto o se vi incuriosirebbe visitarlo.
Alla prossima!

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Sono anche io romana, e anche io sono andata in gita scolastica (e anche universitaria) a vedere i siti etruschi più famosi. Ovviamente conosco bene il Museo etrusco ospitato nella splendida Villa Giulia, e ho anche avuto la fortuna di visitare Villa Poniatowski in occasione delle Giornate Fai d’Autunno. Un museo da non perdere!
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Per noi di zona credo sia una tappa scolastica/accademica imprescindibile 🙂 Villa Poniatowski purtroppo mi manca ancora, sono sempre capitata alla sede del Museo di Villa Giulia e ancora mai a quest’altra di cui però ho sentito parlare molto bene, non vedo l’ora di visitarla anch’io 🙂
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