Nello scorso articolo abbiamo parlato di alcune delle curiosità che riguardano Roma “in numeri”: i suoi record, le particolarità legate al suo patrimonio artistico-culturale e alla sua storia.
Ma un luogo che è stato abitato in maniera continuativa per così tanti secoli non può non diventare nel tempo un posto ricco di storie e leggende metropolitane, a volte basate su un fondamento di verità e altre totalmente campate in aria, aneddoti a volte nati dalla superstizione locale, altre dalla volontà di incoraggiare o scoraggiare una determinata pratica popolare e altre ancora semplicemente da dicerie goliardiche.
Tra le vie e le piazze di Roma si alimentano ancora oggi alcune di queste storie, anche grazie alle guide o ai locali che le continuano a narrare ai visitatori come curiosità che impreziosiscono la conoscenza della nostra Capitale, quando con racconti di fantasmi, di fatti inspiegabili o di pure e semplici “chicche” che si affiancano alle nozioni artistico-culturali per ricordarci che, al di là dello scrigno di storia che è, Roma ha un’anima viva e mutevole, fatta anche di racconti le cui origini si perdono nei secoli, di vite dietro alle finestre di un palazzo e di statue… particolari.
Qui di seguito vi racconto qualche storia e leggenda tra le mie preferite della Città Eterna, legate ad alcuni suoi angoli meno noti così come a diverse delle più celebri attrazioni che nascondono però delle particolarità che non tutti sanno.
1) I gatti di Roma
Cominciamo parlando di alcuni degli abitanti del posto tra i più amati dai turisti, che cercano sempre di immortalarli nelle pose più simpatiche o semplicemente “spaparanzati” al sole su un inestimabile resto archeologico. Sto ovviamente parlando dei gatti di Roma, sornioni come solo un vero romano doc sa essere (sentivo dire tempo fa che forse proprio per questo tratto in comune la città si è sempre sentita piuttosto legata a questi animali), presenti in quantità in siti storici che ormai sono diventati sinonimo di “santuario dei mici” come piazza di Torre Argentina (dove ha sede l’associazione che li tutela, cura e protegge, ma anche un vero e proprio simbolo della città come il Colosseo ha i suoi residenti felini ben noti).
Proprio qualche settimana fa un cliente mi ha chiesto “ma che fine hanno fatto i gatti? Quando sono venuto l’ultima volta una ventina di anni fa ce n’erano molti di più”: questo a dimostrare come la presenza di randagi in città non sia mai passata inosservata. Ma in tempi più recenti i mici capitolini si sono guadagnati anche un regolamento comunale a loro tutela, con targhe di riconoscimento consegnate a quelle che sono state riconosciute due delle colonie feline più antiche e ormai affermate della Capitale tra le oltre 5.000 censite dalla ASL (Torre Argentina, appunto, e Piramide), per garantire supporto anche materiale ed economico a quei tanti volontari che svolgono un lavoro impagabile volto alla riduzione del randagismo e al controllo delle nascite tramite la sterilizzazione. Da gattara anch’io (termine un tempo dispregiativo riservato alle donne che si occupavano con amore di queste bestiole abbandonate in condizioni pessime per le strade di Roma, ma di cui oggi si fregiano quasi orgogliosamente quei volontari che, riprendendo il testimone anche da artisti come Anna Magnani e Antonio Crast, che hanno reso la cura dei mici più “cool” portandola sotto le luci della ribalta, si sono spesi per donare vite più dignitose a questi animali) non posso che essere felice di far conoscere queste notizie e queste realtà virtuose.

D’altronde non va dimenticato che il legame tra Roma e gatti non è solo di epoca moderna: già in età imperiale il gatto era riconosciuto quasi come animale sacro, forse anche grazie alla presenza di diversi templi dedicati al culto della dea egizia Iside a partire dal I secolo a.C. (e si sa come gli egizi venerassero i loro piccoli felini). Proprio da uno di questi templi proviene la piccola statua di una gatta posizionata oggi sul cornicione del primo piano di Palazzo Grazioli, all’incrocio con una via oggi denominata ovviamente via della Gatta: a questa statuetta sono state col tempo associate tutta una serie di storie fantasiose, dal fatto che si tratti della rappresentazione di una micia che una volta ha salvato l’intero quartiere da un incendio svegliando le persone con i suoi forti miagolii al fatto che si presume il suo sguardo sia rivolto verso il nascondiglio di un tesoro segreto.
2) Le Statue Parlanti
Per chi è passato più di qualche volta dalle strade di Roma, la storia di queste statue e della loro cosiddetta “Congrega degli Arguti” non è più un segreto: si tratta di sei sculture disseminate in diversi punti del centro storico e utilizzate fin dal XVI secolo dalla popolazione per appendere bigliettini con cui ci si lamentava di determinate situazioni o si puntualizzava ironicamente su qualcosa o sul comportamento di qualche personalità di spicco. Insomma, era una sorta di bacheca Facebook ante-litteram, dove chiunque decidesse di pubblicare la lamentela poteva farlo anonimamente, protetto dal “profilo fake” che erano queste statue (definite “parlanti” proprio in quanto davano voce al popolo).
A presiedere questo piccolo “concilio” era, ed è tuttora (capita ancora oggi di vedere qualche foglio appeso al suo piedistallo), Pasquino, la statua residente a un capo della piccola piazzetta a lui intitolata, appena fuori dal lato sud di Piazza Navona in direzione di via del Governo Vecchio. Si dice che questo logoro busto umano, a cui mancano quasi tutti gli arti e non si distingue il volto, sia stata ribattezzata con il nome di un sarto del posto, dalla lingua “più affilata delle sue forbici”.
Dal nome di questa statua viene il termine pasquinata, con cui tuttora ci si riferisce alle battute di spirito o alle critiche al vetriolo scritte in dialetto romanesco che ogni tanto sono comparse nel corso dei secoli ai piedi di Pasquino e, per estensione, anche di tutte le altre sculture che col tempo sono state identificate come “parlanti”: una delle più celebri e passate alla storia fu quella di denuncia del Papa Urbano VIII Barberini, che stava “riciclando” elementi architettonici di antiche strutture romane per nuove costruzioni in città, e per questo gli fu rivolta l’accusa “quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” (quello che non hanno fatto i barbari – durante il Sacco di Roma – l’hanno fatto i Barberini).
Di questa fantomatica congrega fanno infatti parte anche il Babuino (steso su una fontana lungo la via che prende il suo nome, parallela di via del Corso), il Facchino (che sorregge una botte da cui fuoriesce dell’acqua, appena dietro l’angolo da via del Corso in direzione piazza Venezia, poco prima di raggiungere la Galleria Doria Pamphili), Madama Lucrezia (l’unica donna della congrega, un possente busto che oggi si trova a Piazza San Marco, adiacente a Piazza Venezia, a un lato della porta d’ingresso ai Giardini di Palazzo Venezia), Marforio (dei sei sicuramente la scultura meglio conservata, col tempo sembra sia diventata anche una delle favorite del popolo, che spesso la affiancava a Pasquino come sua spalla preferita in ipotetici dialoghi, oggi situata in Piazza del Campidoglio e presumibilmente rappresentante una divinità fluviale – anche se sulla sua vera identità ancora si dibatte, pare il nome provenga dall’incisione “mare in forio” trovata ai suoi piedi quando la statua fu rinvenuta nei pressi del Foro di Augusto) e l’Abate Luigi (statua di un uomo senza testa, nonostante i vari tentativi di ripristinarla nel corso dei secoli sempre però seguiti da un ulteriore furto o danneggiamento, probabilmente rappresentante un alto magistrato di epoca romana ma così ribattezzato perché pare somigliasse al sagrestano di una chiesa di zona, oggi situata a un angolo di piazza Vidoni, accanto alla Chiesa di Sant’Andrea della Valle, non lontana da piazza Navona e, quindi, da Pasquino).

3) Finestre e porte chiuse
Passeggiando per il centro storico può capitare, in alcune occasioni, di notare porte o finestre di palazzi storici murate. Quasi tutte queste caratteristiche architettoniche hanno una spiegazione storica… e se questa viene a mancare, ovviamente, subentra una leggenda.
A piazza Mattei, ad esempio, alle porte del quartiere ebraico, è possibile ammirare la facciata dell’omonimo palazzo in cui si nota proprio una finestra finta. La storia racconta di un giovane duca della famiglia Mattei purtroppo molto dedito al gioco a cui, avendo così scialacquato tutti i beni di famiglia, venne negata dal futuro suocero la mano della ragazza che avrebbe voluto sposare. Per poter dimostrare comunque alla famiglia della giovane di non aver perso il suo potere e di essere comunque meritevole di lei, promise la costruzione di una splendida fontana al centro della piazza antistante al suo palazzo nel giro di una sola notte (l’odierna Fontana delle Tartarughe). Alcune versioni della leggenda narrano che riuscì nell’impresa grazie a un patto col diavolo, ma la mattina successiva fu in grado di mostrare fieramente l’opera al futuro suocero e alla futura moglie facendoli affacciare proprio da quella particolare finestra, che si dice fu successivamente murata cosicché nessun altro potesse godere da quello stesso particolare punto della bellezza della fontana.
Appena imboccata via della Reginella da Piazza Mattei, si nota poi sulla destra la sagoma di un imponente portone murato: in questo caso parliamo dell’originale ingresso di Palazzo Costaguti, ingresso spostato proprio su Piazza Mattei (dov’è tuttora) al momento dell’istituzione del ghetto ebraico a metà del Cinquecento, per evitare alla nobile famiglia che anche il proprio palazzo fosse soggetto alle restrizioni della zona come ad esempio il coprifuoco serale.
Molti altri palazzi storici presentano simili rimaneggiamenti e quindi porte o finestre murate, ognuno con la sua storia dietro o spesso senza una reale spiegazione rintracciabile, ma la più straordinaria e oggi sicuramente più conosciuta in particolare dagli appassionati di esoterismo è la cosiddetta Porta Alchemica o Porta Magica di piazza Vittorio. Ci troviamo a due passi dalla stazione Termini, in una delle piazze più ampie della città, al cui centro sorge un vasto giardino creato in occasione del rifacimento del quartiere Esquilino dopo l’Unificazione d’Italia e dedicato al nuovo sovrano Vittorio Emanuele II. Per far spazio al nuovo progetto venne demolita la residenza del marchese Palombara, figura di spicco della famiglia che visse nel Seicento e che si distinse proprio perché pare si debba a lui l’incisione della cornice della cosiddetta Porta Magica, unico elemento superstite della villa salvato proprio per la sua particolarità e spostato a un angolo dei giardini, accanto all’area archeologica del ninfeo risalente all’epoca dell’imperatore Alessandro Severo.
La leggenda vuole che una sera un visitatore ospite del marchese, come lui interessato ad argomenti come l’alchimia e la ricerca della pietra filosofale, si avventurò in giardino in cerca di erbe che potessero servirgli in un esperimento per trasmutare dei metalli poveri in oro, ma scomparì (alcuni dicono proprio attraversando magicamente quella porta murata) e la mattina seguente a due passi da questa vennero rinvenuti degli scritti riportanti formule indecifrabili e alcune pagliuzze d’oro, a testimoniare la riuscita dell’esperimento. Non sapendo in alcun modo comprendere quelle formule, tuttavia, il marchese decise di incidere quei simboli e quegli scritti in ebraico e latino sulla cornice della porta, sperando che altri in futuro sarebbero riusciti laddove lui non è arrivato.


4) Storie dal Gianicolo
Il piazzale del Gianicolo, uno dei colli più alti di Roma pur non rientrando tradizionalmente nel conteggio dei famosi “sette” in quanto posizionato nella sponda occidentale del Tevere, è sicuramente uno dei punti panoramici più apprezzati della città (sebbene l’angolazione e la vicinanza a San Pietro impedisca proprio la vista del “Cupolone” da lassù). In epoca romana il colle era associato al dio Giano (da qui il nome), la divinità bifronte che poteva vegliare su passato e futuro e la cui effige veniva generalmente posta sugli accessi alle città a guardia di chi entrava e chi usciva. La posizione del colle “alle porte della città” di allora spiega quindi questa associazione.
Tra i tanti motivi che spingono turisti e curiosi sulla sua cima, però, c’è il celebre cannone, che da tradizione ormai radicata fin da metà del XIX secolo spara un colpo a salve ogni giorno alle 12:00 in punto (con qualche piccola eccezione ogni tanto per via di intoppi non programmati).
L’idea di utilizzare uno sparo di cannone per uniformare l’orario a cui tutte le chiese di Roma rintoccano mezzogiorno fu di Papa Pio IX nel 1847, inizialmente da Castel Sant’Angelo e solo successivamente, nel 1904, spostato sul Gianicolo.
A sparare da questa altura nei decenni sono stati pezzi di artiglieria storici: il primo è stato addirittura un cannone impiegato per aprire la breccia di Porta Pia nel 1870, sostituito negli anni Novanta da un obice risalente alla Seconda Guerra Mondiale. Al periodo bellico risale anche uno dei rari momenti di “silenzio” del cannone, per ovvie ragioni sostituito temporaneamente da una sirena: la ripresa del servizio dopo la conclusione del conflitto mondiale risale al 21 aprile (in occasione del Natale di Roma) del 1959.
Il Gianicolo è stato poi anche, per quasi un mese nel 1849, il luogo dell’ultima strenua difesa posta dai garibaldini alla da poco proclamata Repubblica Romana contro l’avanzata dei francesi, che puntavano a supportare il rientro in città del Papa. A questo evento è dedicata la passeggiata delimitata da busti di patrioti garibaldini che conduce al piazzale principale, proprio sopra al punto in cui è posizionato il cannone e oggi dedicato all’Eroe dei Due Mondi: Giuseppe Garibaldi. Una sua statua equestre fa infatti mostra di sé al centro del piazzale dal 20 settembre 1895, data simbolica in quanto 25° anniversario dalla Breccia di Porta Pia e riconquista di Roma, accompagnata a poca distanza da un’altra statua equestre rappresentante invece la moglie Anita. Quest’ultima è stata realizzata nel 1932 (50° anniversario dalla morte di Garibaldi) e rappresenta la giovane donna quasi come un’amazzone, pronta alla carica e con un’arma in mano, a celebrarne lo spirito indomito. La curiosità di quest’ultima scultura è che si tratta di una delle pochissime a Roma dedicate a una donna che non sia una santa o una divinità antica.
Una leggenda metropolitana vuole che sia stata posizionata lì solo per dissimulare lo sguardo della statua di Garibaldi, che altrimenti sembrava originariamente guardare in direzione del Vaticano con aria torva facendo quindi trasparire sentimenti antipapisti.


5) Giochi di prospettive
Già che siamo in zona Gianicolo, la non lontana via Piccolomini è diventata nel tempo celebre per una curiosa illusione ottica che riguarda proprio il già menzionato Cupolone di San Pietro. La splendida opera di Michelangelo risulta infatti perfettamente centrata alla fine di questa vietta residenziale, in cui la disposizione dei palazzi a destra e sinistra crea una prospettiva ingannevole che la fa apparire sempre più grande man mano che ci si allontana e, al contrario, sembra rimpiccolirsi man mano che ci si avvicina. Una delle illusioni ottiche più suggestive della Capitale, dato anche il punto di osservazione privilegiato su uno dei suoi luoghi più iconici, ma anche la stessa piazza antistante alla Basilica di San Pietro offre simili giochi di prospettive: infatti il colonnato che abbraccia la piazza e ne incornicia la forma perfettamente ellittica, opera seicentesca di Gianlorenzo Bernini, è costituito da due rami composti da quattro file di colonne ciascuno. Tuttavia, posizionandosi su due dischi che si trovano a terra in corrispondenza dei due fuochi dell’ellissi (contrassegnati dalla scritta “centro del colonnato”), le colonne si allineano perfettamente e si ha l’impressione che la fila sia solo una.
Altro famosissimo e suggestivo gioco di prospettiva che vale la pena ammirare dal vivo a Roma, anche se a differenza dei precedenti non è possibile farlo in un qualsiasi giorno dell’anno, è quello regalato dall’Oculus del Pantheon in corrispondenza del Natale di Roma. Oculus (occhio) è come viene chiamata l’apertura tonda al centro della cupola del Pantheon, e intorno a questa data significativa si verifica un fenomeno particolare qui: i raggi del sole a mezzogiorno si trovano a un’angolazione perfetta per penetrare da questa apertura e illuminare con un fascio di luce diretto il portone d’ingresso. Questo, in passato, pare fosse sfruttato a proprio favore dai regnanti, che facendo la propria entrata trionfale nel tempio dedicato a tutte le divinità a quest’ora particolare di questo giorno particolare potevano entrare avvolti da un raggio di luce all’apparenza divina, come a testimoniare che Apollo in persona volesse illuminare la figura imperiale.
Già che si parla di Pantheon e di leggende, piccola parentesi dedicata a uno degli elementi architettonici più peculiari e quindi più chiacchierati di Roma nell’arco dei secoli: ci sono leggende che vorrebbero che l’Oculus sia stato creato dalla fuga dei demoni pagani, scacciati nel momento in cui il tempio è stato consacrato a chiesa cristiana nel V secolo; altre credenze popolari sosterrebbero che, nonostante non si tratti di una finestra vetrata ma di un vero e proprio buco (dall’impressionante diametro di ben 9 metri!), non pioverebbe mai all’interno del Pantheon – chi dice per via di un “miracolo” chi invece portando a sostegno della teoria il presunto “effetto camino” creato dal vapore caldo di tutte le candele accese contemporaneamente al suo interno. Spiacente di distruggere questo mito evocativo, ma se fuori piove piove anche all’interno del Pantheon, e a dimostrarlo di sono anche le feritoie sul pavimento in corrispondenza dell’occhio proprio per far meglio defluire l’acqua piovana 🙂

6) La leggenda della Bocca della Verità
Passiamo a un altro vero e proprio simbolo della città di Roma, meta di turisti da ogni dove che ogni giorno attendono a lungo in fila fuori dal portico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin per un fugace attimo di fronte alla Bocca della Verità, magari in cui concedersi anche lo scatto di rito con la mano all’interno della bocca di questa gigante faccia di pietra collocata lì ormai quasi 400 anni fa.
Come ogni curiosa attrazione romana, anche questa non poteva non avere una fantasiosa storia dietro di sé e dietro alla tradizione, risalente almeno al Quattrocento, che l’ha resa celebre (tutti ricordano la famosa scena in Vacanze Romane, in cui il personaggio di Gregory Peck finge davanti a un’incredula Audrey Hepburn di perdere la mano). Pare infatti che quella gigante faccia fosse originariamente un fauno o un’altra simile creatura leggendaria, che aveva il potere di capire quando la gente mentiva. Per questo motivo al suo cospetto si presentavano regolarmente persone che volevano testare l’onesta di amici e parenti, specialmente coniugi. Quest’ultimo è proprio il caso della donna che si dice ruppe l’incantesimo: suo marito temeva che la donna lo tradisse… e non aveva torto! Ma al momento di essere trascinata davanti alla “bocca della verità”, dove la sua mano sarebbe stata divorata dalla creatura in caso di menzogne, la donna si organizzò con il suo amante, che si finse un passante ubriaco in mezzo alla folla e la baciò teatralmente davanti a tutti, venendo però da lei bruscamente respinto con finto disdegno. Dopo questo teatrino, la donna poté marciare sicura verso la bocca della verità, infilare la sua mano all’interno e giurare che le sue labbra non erano mai state toccate da nessun altro oltre a suo marito… e, beh, il passante di poco prima. Ecco quindi che, visto che la donna aveva tecnicamente detto la verità ma nel farlo aveva evitato la punizione che le sarebbe toccata per la sua reale colpa, la creatura si sentì tradita e, rotto l’incantesimo che la interessava, si trasformò per sempre in una statua di pietra incastonata nel muro. Che però, ad alcuni piace credere, a suo modo ancora svolge la sua funzione! 🙂
Su una nota molto meno coinvolgente, la realtà dietro a questo grosso mascherone marmoreo è che fosse molto più semplicemente un tombino scolpito, probabilmente collocato lungo il tragitto della Cloaca Maxima (il sistema fognario realizzato ai tempi dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo).
6) L’isola Tiberina e il legame con la medicina
L’isola Tiberina, che prende il nome dall’antico appellativo Tiber del fiume che attraversa Roma, è l’unica isola sul Tevere all’interno del territorio metropolitano e costituisce un vero e proprio “sbarramento” in quanto i due rami del corso d’acqua alla sua destra e sinistra sono molto ristretti. Questa caratteristica è uno dei motivi principali per cui Roma è stata fondata proprio dove si trova (al di là delle leggende su Romolo e Remo che ci dicono che questo fosse il punto in cui la loro cesta si è incagliata e siano stati trovati dalla Lupa che li ha allattati, per cui particolarmente significativo per loro da adulti al momento di decidere dove instaurare la loro nuova città): si trattava di un luogo strategico per controllare le vie di commercio su acqua, un check-point naturale per le barche che viaggiavano tra il mare e l’entroterra. Per questo motivo tutte le popolazioni limitrofe si sono nel tempo trovate a scontrarsi per ottenere il controllo dell’isola.

Su questo lembo di terra lungo appena 300 metri e largo circa 90, collegato su una sponda da Ponte Fabricio alla zona del Ghetto Ebraico e sull’altra da Ponte Cestio a Trastevere, come dico spesso ai turisti che accompagno “oggi c’è tutto quello che conta”: una chiesa, un bar, un ristorante, una farmacia e un ospedale. Quest’ultimo, il Fatebenefratelli, è uno degli ospedali più antichi di Roma (risalente alla fine del Cinquecento) e denota il legame stretto di quest’isola con la medicina. C’è infatti sempre stato qualcosa che richiamasse la medicina sull’isola, a partire dall’antichità quando, al posto dell’attuale chiesa di San Bartolomeo all’Isola, si trovava un tempio pagano dedicato a Esculapio, divinità greca della medicina. Questo tempio fu eretto intorno al III secolo a.C., quando in risposta a una grave pestilenza che aveva colpito la città i sacerdoti avevano inviato degli ambasciatori in Grecia, per tornare con delle reliquie e due serpenti, animali sacri al dio (uno dei motivi per cui il caduceo, simbolo dei farmacisti, è un bastone con due serpenti intrecciati, spesso associato anche al dio Hermes e a voler significare saggezza ed equilibrio tra dosi benefiche e dosi tossiche di farmaci). Si dice che, passando accanto all’isola, questi strisciarono fuori dalla barca per stabilirsi al centro della stessa, cosa che venne interpretata come volontà divina di Esculapio di avere il tempo a lui dedicato costruito proprio lì.
8) Il “Papa mago”
Tra le tantissime inestimabili reliquie che Roma conserva, pare sia possibile anche trovare alcuni pezzi della vera croce su cui morì Gesù e altri oggetti legati alla sua passione come parti della corona di spine e alcuni dei chiodi con cui fu crocifisso.
La chiesa che li conserva è Santa Croce in Gerusalemme, così chiamata proprio perché edificata intorno alla cappella contenente tali reliquie portate a Roma da Sant’Elena (madre dell’imperatore Costantino) e sotto le fondamenta di cui si dice che la donna fece spargere della terra raccolta proprio a Gerusalemme, cosicché tecnicamente “la Croce non lasciasse mai la Terra Santa”. In questa zona l’imperatore aveva fatto edificare la dimora di proprietà della madre, nota come Sessorium, e a pochissima distanza successivamente all’Editto di Milano (e legalizzazione della religione cristiana) eresse il Palazzo Lateranense come residenza del Papa, ai suoi tempi Silvestro I, e la Chiesa di San Giovanni in Laterano, che ne divenne la sede ufficiale come Vescovo di Roma.
Alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme è legata anche la figura di un altro Papa, un uomo molto controverso: Silvestro II, al secolo Gerbert d’Aurillac. Si dice che la rapida ascesa al potere di questo Papa si debba a suoi poteri occulti e a un patto con il demonio: la leggenda narra infatti che Silvestro II fosse in realtà un mago e che avesse fatto realizzare una maschera dorata in grado di rispondere alle sue domande sul futuro. Una di queste divinazioni riguardava proprio la morte del Papa stesso, che la maschera predisse sarebbe avvenuta “mentre officiava la messa a Gerusalemme”. A soli 4 anni dalla sua proclamazione a pontefice, Silvestro II morì proprio mentre celebrava la messa… nella chiesa di Santa Croce!
Fu poi sepolto nella vicina Basilica di San Giovanni in Laterano e si dice che oltre sei secoli dopo la sua morte all’apertura della tomba la sua figura fu ritrovata perfettamente intatta, vaporizzandosi però immediatamente dopo a contatto con l’aria.
9) San Giovanni e la “notte delle streghe”
Alla Basilica di San Giovanni in Laterano, dedicata al Santo Salvatore e ai Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, è legata anche un’altra leggenda.
Sebbene si dica che religione e superstizioni non dovrebbero convivere, è proprio nell’era dello Stato Pontificio che molte delle credenze popolari romane più radicate che mescolano sacro e profano sono andate sviluppandosi. Tra le più antiche della Capitale, una si lega alla cosiddetta “Notte delle streghe”… e no, non si parla di Halloween ma del 24 giugno, giorno in cui si celebra San Giovanni Battista.

In questa notte in passato si riteneva che le streghe si aggirassero per la città in cerca di anime, e per contrastarle la popolazione mangiava lumache nelle osterie (un gesto di buon auspicio perché nutrirsi di questi animali, che simboleggiavano discordia, significava annientare il nefando) e si raccoglieva poi davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano per pregare il santo illuminati da torce e lumini e suonare forte tamburi e campanacci per scacciare le streghe, in attesa dell’alba successiva quando la messa celebrata dal Papa sull’altare maggiore della Cattedrale dava a tutti il segnale che il pericolo era scampato e si poteva rientrare sereni a casa.
10) Altre credenze popolari a Roma
Il romano verace, di quelli che non incrociano mai le posate a tavola e non rovesciano mai il sale perché “porta sfiga”, ha molte di queste storie e queste credenze popolari da condividere, a volte giocosamente altre proprio con fervente paranoia. Ve ne elenco giusto un paio di quelle da sapere se si passa in città:
– se venite a Roma per la prima volta impossibile non includere una visita alla splendida Piazza Navona. Attenti però a come girate intorno alla centrale Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini per ammirarla da ogni angolazione: pare che non si debba mai fare in senso antiorario, perché in passato una strega vi scagliò una maledizione legata agli innamorati e pare che le coppie che cadono in questo errore saranno condannate a… scoppiare;
– rimanendo in tema di fontane, come già detto nello scorso articolo al lancio della monetina nella Fontana di Trevi (da effettuare rigorosamente con mano destra perché la sinistra, come in molte culture, è considerata “impura”) è legata la credenza che facendolo correttamente ci si assicuri un ritorno a Roma. Pochi sanno però che è possibile aumentare il numero di monete per ulteriori risultati: con due, infatti, ci si garantisce che al ritorno a Roma si incontrerà l’anima gemella, mentre con tre ci si sposerà (o divorzierà, questo punto sembra cambiare molto a seconda di a chi si chiede!);
– se siete in città per studio, saprete che la prima università di Roma, “La Sapienza”, ha anch’essa una propria tradizione scaramantica: si dice infatti che, se ci si vuole laureare, sia bene trascorrere tutti gli anni di corso senza mai incrociare direttamente lo sguardo con la statua della Minerva situata nel cortile della sede centrale dell’ateneo (questa però ve la posso personalmente confutare 🙂 );
– in passato c’erano tutta una serie di credenze popolari legate alla fortuna al gioco, in particolare alla vincita al lotto, per cui la popolazione aveva decine di diversi metodi per ricavare numeri “buoni” da giocare. Tra i più creativi che ho sentito, recarsi di notte all’Arco di Giano pregando lungo la strada e aspettare mezzanotte: se allora si sentiva il verso di un animale (cane, asino, civetta ecc.) si poteva giocare il numero corrispondente a quell’animale che sarebbe senz’altro uscito;
– non so se questa tradizione esiste anche al di fuori della mia regione, perciò correggetemi in caso, ma anche a voi da piccoli tiravano le orecchie ai compleanni? Generalmente una tirata per ogni anno compiuto. Ecco, io personalmente lo odiavo ma a quanto pare è tipico da queste parti perché si dice che “chi ha orecchie grandi ha vita lunga”, quindi questo gesto ai compleanni sarebbe di buon augurio. Beh, posso dire che se è vero, anche senza tirate ogni anno, io e le mie orecchie fuori misura rischiamo di campare 200 anni! 🙂

Pur avendo già sviscerato un bel po’ di storie e credenze popolari romane, il sottobosco di leggende metropolitane di questa città è immenso ed è impossibile coprirne la totalità in un solo articolo… ma non era neanche questo l’obiettivo. Spero solo di avervi tolto qualche dubbio riguardo alcuni dettagli notati magari qua e là in uno dei vostri viaggi passati a Roma oppure avervi incuriosito su determinati aspetti della cultura locale di cui non sapevate molto.
Se ci sono altre curiosità che aggiungereste a questa lista sono felicissima di scoprirne di nuove (o sentirmi una scema per quelle così note da dovermi vergognare per aver dimenticato di citarle qui): se vi va, scrivetemi qui sotto nei commenti le vostre preferite tra queste o altre di cui avete sentito parlare.
E se vi va di approfondire con qualche dettaglio ancora più “local”, vi suggerisco questi articoli in altri siti in cui si parla delle superstizioni più particolari e delle credenze popolari legate ai sogni.
Alla prossima!

Mi è piaciuto molto il tuo post, adoro Roma e la sottile ironia dei romani. Conoscevo la storia di Pasquino e delle statue parlanti ma è sempre divertente leggere aneddoti nuovi. Molto divertente la parte delle superstizioni, non sapevo che per laurearsi non si dovessero incrociare gli occhi di Minerva!!
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Sì, ricordo che è una delle prime cose che ho sentito quando ho iniziato a frequentare La Sapienza… come detto, però, posso testimoniare che non è sempre vero 😀
Grazie per il tuo commento, a me è piaciuto molto scriverlo questo post per lo stesso motivo, queste storie e aneddoti mi hanno sempre divertita e alcuni anche incuriosita per via delle loro origini 🙂
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Ricordavo la colonia dei gatti romani ma non ho fatto caso, l’ultima volta in città, che fossero diminuiti! Sicuramente è un ottimo traguardo aver introdotto il regolamento per tutelarli con l’aiuto delle targhe di riconoscimento. Non conoscevo invece la storia delle sei statue parlanti con cui ci si lamentava tramite bigliettini né la storia di Pasquino e della sua lingua affilata.
Sapevo invece del cannone del Gianicolo che serviva a allineare l’orario delle chiese di Roma, tra l’altro proprio l’ultima volta che sono stata nella Capitale, ho assistito allo sparo, così come mi ero accorta tempo fa del gioco di prospettiva del cupolone. Sapevo anche della Minerva alla Sapienza visto che una mia amica la frequentava!
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Credo che quel cliente intendesse dire che ne ha trovati molto meno in giro per le strade, cosa di cui effettivamente sono felice e che come dici giustamente anche tu è una testimonianza di come la regolamentazione di queste colonie feline e l’appoggio del Comune a queste realtà di volontari possono aiutare a tenere al sicuro e in salute questi pelosetti senza altra casa.
Caspita, sei praticamente una romana ad honorem, ora che hai conosciuto anche le Statue Parlanti conosci/hai visto/hai assistito a molte più tradizioni, curiosità e aneddoti del visitatore medio (e anche di tanti residenti meno attenti, mi verrebbe da dire!).
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