È iniziato in tutta Italia un altro periodo di forti restrizioni legate allo sviluppo della pandemia da Covid-19, per prevenire una possibile terza ondata. Questa volta, anche qui nella mia regione (il Lazio), non ce la siamo cavata affatto bene essendo stati “degradati” a zona arancione, che in base a questo nuovo DPCM prevede l’impossibilità non solo di spostarsi tra regioni ma anche tra comuni.
Si sono quindi aperte un paio di settimane (speriamo non troppo di più) in cui qualche raro fortunato potrà comunque continuare a godere di scorci degni di nota, mentre altri dovranno limitarsi a sognare tempi migliori.
In questo momento di stasi forzata perfino i borghi della mia amata Sabina, la zona in cui sono cresciuta, sembrano lontani anni luce. Se c’è una cosa che tutti continuiamo a ripetere da quasi un anno è che, dovendo trovare un micro-lato positivo a tutta questa situazione, lo stare confinati a casa ci ha fatto rivalutare le piccole cose, soprattutto quelle che davamo per scontato… beh, le mie zone sono un po’ questo per me: qualcosa che ho sempre dato per scontato, che solo di recente ho iniziato a guardare con occhi nuovi.
Sulla stessa linea del riscoprire l’Italia che molti di noi hanno tenuto la scorsa estate, ho deciso quindi di dedicare un po’ di spazio alla scoperta e riscoperta di questo territorio a nord di Roma quasi totalmente sconosciuto e scarsamente battuto dal turismo in generale, se non da una piccola nicchia. La Sabina ha da offrire paesaggi rurali intervallati da campi di olivi (spesso secolari), punteggiati da borghi medievali e colline che non hanno nulla da invidiare alla ben più famosa Toscana.
Per ora vi presento in generale la mia terra e la sua storia millenaria, ma nelle prossime settimane mi piacerebbe concentrarmi più nel dettaglio su alcuni dei paesi, dei percorsi e delle attrazioni che più meriterebbero una visita (non vi aspettate Colossei e Torri di Pisa! Ma anche in misura ridotta sicuramente storia e fascino non mancano, più il gusto dell’avventura fuori dal tracciato, la pace di luoghi ancora non presi di mira dalle masse… e una buona cucina, che non guasta mai).
Dove si trova la Sabina e perché il nome potrebbe suonarvi familiare
A meno che uno non abbia connessioni personali con la zona o ne abbia sentito parlare da qualcuno che ci è stato (ci ha vissuto o ci è capitato per caso), ho notato che difficilmente il mio interlocutore ha bene in mente dove ci troviamo quando parliamo di Sabina.
L’area che potremmo definire come Sabina si estende in realtà su territori non bene e univocamente definiti: nella sua accezione più ristretta, la si potrebbe circoscrivere quasi interamente all’interno della provincia di Rieti, nel Lazio nord-orientale, mentre nell’accezione più ampia si andrebbero a toccare anche molti comuni sparsi in parte delle provincie di Roma, Viterbo, L’Aquila e Terni. Nel mio vedere, la Sabina “dura e pura”, quella che tutt’oggi sembrerebbe rispecchiare un’essenza generale comune (che poi davvero comune non è, come vedremo tra un attimo) è quella che dalla zona del reatino e dei comuni a cavallo dell’appennino, anche nota come Alta Sabina, scende a sud verso i colli che separano la piana reatina dalla Capitale (Bassa Sabina), scavallando tra la provincia di Rieti e quella di Roma (questi ultimi comuni a volte anche noti con l’ulteriore definizione di Sabina romana).

Il motivo per cui non esiste una delimitazione così precisa è che, storicamente, parliamo di un ampio territorio abitato originariamente dall’omonima popolazione (ben prima della fondazione di Roma), che nel tempo ha finito per essere inglobato da dominazioni diverse, diviso tra ducati locali, riunito nello Stato della Chiesta e poi nuovamente diviso con la formazione delle provincie del Regno d’Italia… questo solo per semplificare i vari passaggi.
Se il nome continua quindi a suonarvi familiare, è probabilmente grazie a reminiscenze degli studi di storia antica: i Sabini sono quella popolazione con cui i Romani si sono scontrati quasi subito dopo la fondazione della città, quando la leggenda vuole che Romolo, avendo accolto gente (perlopiù poco raccomandabile) da ogni dove ma notando tra questi una penuria di donne, abbia volto lo sguardo verso i “vicini di casa” e architettato l’episodio noto come “Ratto delle Sabine”. A queste donne verrebbe poi dato un ruolo fondamentale nella risoluzione del conflitto che conseguì a questo affronto, gettandosi tra le proprie famiglie di provenienza e quella acquisite per fermare le schermaglie che si protraevano ormai da tempo e incoraggiando un compromesso tra le due popolazioni.
In seguito, molti esponenti sabini divennero nomi noti nel contesto romano: Tito Tazio, re dei Sabini all’epoca di Romolo, fu per alcuni anni co-regnante con quest’ultimo, sancendo di fatto una fusione tra i due popoli che diede vita ad alcune celebri gens romane (Marcia, Hostilia, Claudia, Valeria ecc.) e legò a doppio filo i Sabini al trono di Roma sia in epoca monarchica (la figlia di Tito Tazio è andata in sposa al secondo re, Numa Pompilio, e il quarto regnante, Anco Marzio, era anch’egli di origine sabina) che imperiale (la dinastia Flavia era originaria del reatino).
Un’anima verace e ricca di sfaccettature
Fatto il ripasso di storia antica, il passaggio di mano in mano di queste terre nei secoli successivi alla caduta di Roma non ha cancellato definitivamente una certa identità comune, che si è mantenuta nei secoli facendo sì che non si perdesse la definizione di “sabino”, che sia in riferimento alla geografia, alla cucina o alle più semplici tradizioni. Una definizione che però, come dicevo prima, ha al suo interno infinite sfumature, come spesso accade per territori dalla storia millenaria: è facile spostarsi da paese a paese e trovare piccole differenze nel dialetto locale (da piccola ero affascinata da come a distanza di neanche venti chilometri ci si potesse riferire alla stessa cosa con espressioni diverse), perfino negli ingredienti soliti delle ricette tradizionali.

Un’essenza comune, quindi, a cui fa da contraltare un più prosaico campanilismo, le rivalità tra comuni confinanti che hanno dato origine a tutta una serie di dicerie (spesso infondate), che a loro volta hanno portato all’invenzione di nomignoli paesani come “pallonari” (quelli che raccontano “palle”, ovvero le sparano grosse), “corsari” (nome che in realtà non ha nulla a che fare con la pirateria, bensì deriva dai cani corsi impiegati in passato dagli uomini del posto per la difesa personale e dei propri terreni), “caccailli” (questo è il nome in dialetto di un tipo di prugna che cresce in zona), “ciumacari” (“ciumaca” in dialetto significa “lumaca”, che è anche la protagonista di una delle sagre del posto) e così via.
Sono cresciuta con queste storie curiose e spesso inverosimili, che molti abitanti di questi borghi si divertono ancora a raccontare come fosse storia vera.
Penso ad esempio a quella di due paesini adagiati su due colli adiacenti, i cui abitanti alimentano da secoli una rivalità tale da aver portato i primi a svuotare l’interno di un albero di sambuco per usarlo come cannone ma, una volta riempito l’incavo con polvere da sparo, chiodi e molto altro, aver indirizzato “l’arma” verso gli odiati vicini e aver acceso la miccia, sono stati investiti loro stessi dall’esplosione… e si dice che davanti al palese insuccesso qualcuno abbia rimarcato invece quanto “se ha fatto tutti questi danni qui, figuriamoci di là!” (ovviamente pronunciato in dialetto stretto).
Oppure quella del paese in cui si dice che le statue simbolo, poste ai due lati della porta principale e rappresentanti Minerva e Mercurio, siano state il risultato di un voto popolare a cui gli abitanti sono stati chiamati decenni fa: di fronte alla scelta tra far giungere l’acqua corrente al centro del paese o erigere le due statue (“bambocci”), la popolazione avrebbe risposto inneggiando senza esitazione e all’unanimità a queste ultime… leggenda che gli è valsa l’appellativo di “bammocciari”.
NB: Sottolineo ancora una volta che queste storie non sono altro che leggende goliardiche, che riporto qui solo come nota di colore e senza alcuna malignità… ma per evitare che qualcuno si offenda ho scelto comunque di non riportare i nomi dei paesi in questione. In tutto questo siamo anche gente piuttosto orgogliosa! 🙂
Ma in definitiva, cosa distingue la Sabina?
Forse niente di unico, visto che come detto molte destinazioni più “blasonate” in Italia offrono simili paesaggi e atmosfere… ma credo che la rarità stia nel poter apprezzare queste cose a un passo più lento, senza forzature, sapendo che spesso bisognerà anche “sapersi arrangiare” (molti percorsi nella natura non sono ancora pienamente accessibili o ben segnalati per cicloturisti o amanti del trekking, nonostante la tracciatura dei percorsi CAI sul territorio ci sono ancora aree meno battute, ma non meno meritevoli di attenzione, in cui sarà necessario procurarsi una buona mappa, un’apposita app quando non proprio una guida AIGAE per andare sul sicuro).
Potrebbe quasi sembrare un cliché parlare di “tesori nascosti”, perché in un mondo tecnologicamente avanzato come il nostro com’è mai possibile non tenere precisa traccia di un luogo qualsiasi, eppure ci sono attrazioni (anche di un certo rilievo storico e culturale come l’Abbazia Benedettina di Farfa, uno dei più importanti luoghi spirituali del centro Italia, dichiarata monumento nazionale nel 1928) difficilmente raggiungibili senza indicazioni da qualcuno del luogo… come mi è stato confermato da parte degli invitati al mio matrimonio, che seguendo il GPS proprio in direzione della suddetta abbazia si sono ritrovati invece in un fosso!
Girovagare in queste zone pone sicuramente qualche difficoltà organizzativa e dal punto di vista logistico, anche dovuto alla mancanza di una rete di trasporti pubblici davvero capillare (molti paesi della Bassa Sabina non sono neanche toccati dalla ferrovia che segue parte della valle del Tevere risalendo da Roma e sono raggiungibili solo con autobus che viaggiano a frequenza ridotta), ma trovo che dedicargli qualche giorno possa valere comunque lo sforzo.

Si può risalire il corso del Tevere fino all’incontro con il torrente Farfa, dove esplorare anche l’omonima Riserva Naturale nei pressi di Nazzano; dedicarsi a innumerevoli percorsi naturalistici, dalle Gole del Farfa fino alla cima del Monte Terminillo che troneggia alle spalle di Rieti (la cosiddetta città “ombelico d’Italia”).
Si possono visitare borghi insigniti della Bandiera Arancione del TCI come Casperia (che molti di voi conosceranno in maniera indiretta come “ex-paese del signor Balocco” ma che per me è semplicemente l’emblema dei borghi quasi immutati di questi territori, in quanto regala un’atmosfera unica) e altri come Poggio Mirteto, la mia prima casa, che hanno subito interventi di ammodernamento della zona appena fuori dal centro storico ma dove, appena girato l’angolo, è ancora possibile trovare il vecchio “fontanone” che in un attimo ti rituffa nel passato. Borghi disseminati di torri, campanili, palazzi vescovili affiancati ad abitazioni più modeste di epoca antica, centri di origine medievale e altri addirittura risalenti a prima della conquista romana come la vecchia Cures (capitale dei Sabini, oggi orientativamente corrispondente all’attuale Talocci e di cui però, sfortunatamente, non sopravvivono resti archeologici molto estesi).
Ci sono luoghi in cui tuttora si riesce a respirare una quieta spiritualità tra eremi isolati come quello di San Silvestro in cima al Soratte, santuari come quello di Vescovio (l’ex- Forum Novum), potendosi spingere fino alla Valle Santa reatina, dove seguire un percorso improntato sul cammino di San Francesco (imperdibile il suggestivo Santuario di Greccio, dove si dice il santo abbia organizzato il primo presepe della storia).
Paesi che nei secoli hanno attratto le famiglie di spicco romane come gli Orsini, i Colonna e i Lante della Rovere al punto da spartirsene il territorio e arricchirlo di residenze nobiliari e imponenti castelli come l’affascinante Castello di Nerola.
Ma, più di ogni cosa per me, luoghi ricchi di tradizioni folkloristiche e culinarie centenarie che ne regalano l’immagine più autentica, per cui varrebbe la pena di mettersi in marcia calendario degli eventi alla mano: dalle rievocazioni storiche di Vacone, Torri in Sabina, Roccantica e Bocchignano (solo per nominarne un paio) alle celebrazioni di Carnevale con la sfilata dei carri allegorici, fino alle sagre disseminate su tutto l’arco dell’anno che celebrano eccellenze locali come la famosissima amatriciana, la porchetta di Selci, il melone di Cantalupo, le fregnacce alla sabinese (una sorta di maltagliati con sugo di pomodoro, funghi e olive) e la bruschetta condita con l’olio extravergine Sabina DOP, vero gioiello di queste zone.

Mancanza di promozione: pro o contro?
Sebbene stia riscontrando da un po’ di tempo un interesse sempre maggiore da parte di siti, programmi tv di divulgazione e perfino testate internazionali (il Guardian ci ha menzionati giusto qualche mese fa), trovo questo interesse sempre perlopiù fine a se stesso: si elogia la bellezza bucolica e ancora in gran parte incontaminata da frotte di turisti di questa zona come spunto di ispirazione, curiosità, ma a ciò non vedo conseguire interventi davvero convinti da parte delle istituzioni per cavalcare l’onda del turismo esperienziale, tanto in voga in questo periodo (tanto per dire, al TTG dello scorso ottobre allo stand della Regione Lazio, sebbene decorato dall’ormai noto logo “Lazio Eterna Scoperta”, non c’era assolutamente materiale informativo, cartaceo o verbale che sia, dedicato a questa area). Tolto l’impegno di alcune associazioni volontarie, la vocazione turistica sembra davvero non prendere piede da queste parti… cosa che mi dispiace e mi gratifica quasi in egual misura, a dire il vero.
Da un lato, essendo cresciuta circondata da questi borghi, provo la stessa sensazione di chi è cresciuto in un appartamento con affaccio sul cupolone di San Pietro: sta lì, fa parte del mio essere, lo do per scontato al punto da chiedermi cosa altri potrebbero trovarvi affascinante… salvo poi essere io la prima ad andare alla ricerca di altri borghi e paesini pittoreschi e semi-sconosciuti in altre regioni, e di conseguenza chiedermi dall’altro lato perché non esista un vero e proprio impegno dalle amministrazioni locali per promuovere questo territorio come altri sanno fare così bene. Da un altro lato ancora, infine, lavorando nel settore turistico e vivendo al centro di quello che questo universo può creare e disfare nelle destinazioni che investe, interviene quella lieve punta di gelosia e quasi iperprotettività nel dire che, forse, non si sta poi così male così…
Ad ogni modo, se può interessarvi far parte di quella nicchia di viaggiatori attratti dal turismo responsabile in cerca di qualcosa di diverso e poco battuto per quando i confini regionali saranno di nuovo attraversabili, nelle prossime settimane mi piacerebbe accompagnarvi alla scoperta della “mia” Sabina, raccontandovi di alcuni luoghi particolari, itinerari da seguire e piatti da provare.
Se avrete piacere, nel prossimo articolo vi porterò sul Monte Soratte, tra percorsi trekking, tradizioni locali e il dedalo di tunnel sotterranei dell’omonimo bunker.
Intanto fatemi sapere se conoscevate già alcune di queste zone o se avevate già in mente di farci un salto.
Alla prossima!
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